IL CASO

Donna segregata nel cassone, la Procura vuole il giudizio immediato

La super consulenza tecnica della difesa: «Il racconto non è credibile»



BOLZANO. La Procura della Repubblica di Verona ha chiuso l’indagine a carico di Reinhold Thurner, l’imprenditore agricolo sudtirolese accusato di aver segregato una donna polacca di 44 anni (sua dipendente e sua ex convivente) in una cassa di plastica per la raccolta delle mele, lasciandola in quella condizione per quindici giorni sotto il solleone d’agosto.

La Procura ha chiesto il giudizio immediato senza alcun passaggio davanti al giudice dell’udienza preliminare. L’accusa pubblica è dunque pronta a sostenere in aula, davanti al tribunale, l’imputazione originariamente contestata a Reinhold Thurner e cioè sequestro di persona e tortura. La donna venne liberata dalle forze dell’ordine la mattina del 28 agosto scorso dopo l’allarme lanciato da alcuni operai al lavoro per il taglio dell’erba sul ciglio del tracciato della A4 alla periferia di Verona. Quando venne liberata la donna polacca raccontò a polizia e carabinieri di essere rimasta segregata all’interno del cassone per una quindicina di giorni, cioè dalla vigilia del ferragosto alla mattina del 28 agosto. Raccontò di aver ricevuto per due volte del pane secco, due volte dell’uva e altre volte una mela. Raccontò anche di aver spesso avuto a disposizione poca acqua. La vittima puntualizzò anche di aver avuto la possibilità di uscire dal cassone per cinque minuti solo dopo un periodo di segregazione di sette giorni. «Non potevo stare seduta col busto eretto - raccontò agli inquirenti - e sono stata costretta a fare i miei bisogni corporali all’interno della stessa cassa di plastica ove mi tenevano rinchiusa». Dopo sette giorni lo stesso Reinhold Thurner (aiutato da un operaio polacco suo dipendente che è coimputato) spostò con un muletto la cassa con all’interno la donna vicino ad un idrante. «Mi hanno consentito di lavarmi - raccontò la donna - mi tenevano con una gamba legata ad una rete e ridevano di me, dicendo che mi tenevano come un cane». Nelle deposizioni la donna parlò di «rapporto degenerato con Thurner e che anche la sorella (giunta in Italia per la raccolta delle mele) non sarebbe intervenuta per aiutarla perchè aveva paura». La vittima ha poi raccontato di essere stata per lungo tempo maltrattata e picchiata dall’imputato con cui aveva anche avuto un rapporto sentimentale. «Mi teneva in scacco per un vecchio debito che avevo con lui. Mi picchiava con calci e mi chiudeva la bocca nel tentativo di soffocarmi». Insomma una vita trasformata in un incubo. Per il pubblico ministero Maria Beatrice Zanotti la vicenda sarebbe chiara.

La difesa di Thurner, però, con gli avvocati Paolo Fava di Bolzano e Mirko Zambaldo di Verona, ritiene al contrario che la vittima sia assolutamente inattendibile. L’imputato ammette infatti di aver segregato la donna polacca nella cassa per la raccolta di mele ma sostiene di averlo fatto la sera prima del giorno in cui la vittima venne poi liberata dalle forze dell’ordine. Questa è anche la conclusione della perizia di parte commissionata al medico legale Gabriella Trenchi.

Il perito ha verificato la congruità tra quanto affermato dalla vittima della vicenda, la polacca di 44 anni, e quanto emerso dagli accertamenti clinici eseguiti all'ospedale di Villafranca dopo la sua liberazione. La donna aveva riferito alle forze dell'ordine di essere rimasta sequestrata nel cassone per due settimane e di aver ricevuto dai suoi sequestratori solo una mela al giorno e mezzo litro d'acqua. Infine, secondo la perizia della difesa, dalle fessure del cassone in plastica non può passare né una mela né una bottiglia d'acqua, come aveva raccontato la vittima. La difesa chiederà di patteggiare la pena.













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