Lo scontro

Dieci anni di residenza per l’alloggio Itea, Provincia condannata in appello: “Discriminatorio”

Il ricorso era stato promosso da Asgi e da un cittadino etiope. Gli avvocati Guarini e Guariso: “Ora si cancellino tutte le leggi che discriminano”

I SINDACATI. "La Provincia cancelli subito questo vincolo anche per il bonus bebè"



TRENTO. La Provincia di Trento è stata condannata anche in appello per discriminazione nell’accesso agli alloggi popolari e al contributo sull’affitto: il requisito di 10 anni di residenza in Italia è in contrasto con il diritto UE.

Lo fa sapere l’Assemblea Antirazzista di Trento con l’avvocato  Giovanni Guarini: "Ora si cancellino tutte le leggi provinciali che discriminano".

Con la sentenza emessa mercoledì 23 giugno la Corte d’Appello di Trento (relatrice Dott.ssa Anna Luisa Terzi) ha rigettato l’appello proposto dalla Provincia contro l’ordinanza del Tribunale di Trento che aveva acconto il ricorso promosso da ASGI e da Daniel Bekele, cittadino etiope dell’Assemblea Antirazzista di Trento – assistiti dagli avvocati Giovanni Guarini e Alberto Guariso – per contestare il requisito di 10 anni di residenza in Italia richiesto dalla legge provinciale 5 del 2019 per accedere sia agli alloggi pubblici sia a un contributo economico per il pagamento dei canoni.

La sentenza della Corte d’Appello – scrive l’Assemblea Antirazzista – ha ribadito il carattere discriminatorio del requisito dei 10 anni di residenza sul territorio nazionale, in quanto in contrasto con la direttiva dell’Unione 109 del 2003 che garantisce parità di trattamento ai titolari di permesso di lungo periodo: parità che risulta invece violata da un requisito che va soprattutto a danno degli stranieri, che solo in una quota minoritaria possono far valere 10 ani di residenza in Italia.

La Corte d’Appello ha specificato che tale requisito non si può applicare né ai cittadini extracomunitari lungo soggiornanti, né a quelli dell’Unione Europea, né a quelli italiani. Inoltre, la Corte trentina ha “smontato” la tesi secondo la quale il requisito sarebbe legittimo perché previsto anche dalla disciplina italiana sul reddito di cittadinanza. Infatti, scrivono i Giudici: “l’esistenza di altro provvedimento legislativo che contiene lo stesso criterio di accesso a un trattamento assistenziale non costituisce sotto alcun profilo una giustificazione se il criterio realizza una discriminazione vietata”.

Il giudice di appello ha ritenuto superfluo anche il rinvio alla Corte Costituzionale perché l’obbligo di garantire parità di trattamento discende direttamente dalle norme dell’Unione e prevale sulla legge provinciale.

Ha quindi ordinato alla Provincia di “disapplicare” la legge provinciale e di modificare il regolamento attuativo eliminando il requisito dei 10 anni di residenza in Italia.

La Provincia nel frattempo ha riaperto le graduatorie per gli anni 2019 e 2020, ma non ha modificato il “Regolamento in materia di edilizia abitativa pubblica”.

La Corte ha anche confermato la decisione di primo grado nella parte in cui condanna la Provincia a pagare 50 euro al giorno per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della ordinanza, che decorre dal 29.11.2020.

“A questo punto la Provincia non ha davvero più motivi di rinviare l’esecuzione della ordinanza – hanno dichiarato gli avvocati Alberto Guariso e Giovanni Guarini – e deve al più presto provvedere alla modifica del Regolamento. Speriamo anche che la Provincia riconsideri, alla luce di questa decisione, altre norme che ha introdotto negli ultimi anni in materia di welfare (ad esempio quelle in tema di assegno unico e di assegno nascite) che hanno determinato effetti gravissimi di esclusione in danno degli stranieri e che sono in contrasto con le politiche di inclusione che l’Unione Europea ci sollecita e che andrebbero a vantaggio di tutta la comunità”.

Dura la reazione di Cgil, Cisl e Uil che chiedono alla Provincia di togliere subito il vincolo discriminatorio anche per altre misure, a partire dall'assegno di natalità. 













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