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«Gli affitti brevi? Un disastro annunciato»

Parla il sindaco di Arco. «Il turismo aiuta l’economia, ma noi siamo al limite, per chi vuole formare una famiglia è impossibile trovare casa», dice Alessandro Betta


Ilaria Puccini


ARCO. «Di questo passo non avremo più centri abitati, ma centri commerciali del turismo». Sono le dure parole con cui Alessandro Betta, il sindaco di Arco, commenta l'esplosione incontrollata del fenomeno degli affitti brevi. Condomini trasformati in AirB&B, evasione fiscale, prezzi alle stelle per meno servizi e la fuga dei residenti (o aspiranti tali), con la perdita di identità della comunità. Dall'altra parte, le mancate tutele a chi propone formule più sostenibili, sul lungo periodo, per studenti e lavoratori. Il tema, afferma il primo cittadino del quarto Comune trentino, è sul tavolo di un'apposita commissione e nelle prossime settimane sarà affrontato in un incontro pubblico.

Lei condivide le motivazioni dietro l'allarme del sindaco Nardella?
Pur non avendo nel nostro territorio una Città Metropolitana delle dimensioni di Firenze, le ripercussioni del turismo sul caro-affitti sono un problema condiviso e che nell'area dell'Alto Garda avevamo denunciato diversi anni fa. L'unico tentativo di porre un limite è stata la legge Gilmozzi, poi le giunte non hanno più fatto nulla.

Cosa stabiliva la legge Gilmozzi?
Era pensata per limitare l'edificazione di case a uso turistico in determinati comuni. I nuovi edifici residenziali dovevano essere destinati ad essere abitazione principale del fruitore finale.

Il comune trentino quali margini di manovra ha?
Le nostre armi sono spuntate: l’unica amministrazione che ha il potere di “prendere il toro per le corna” con misure strutturali è la Provincia e anzi, potremmo sfruttare la nostra autonomia per intraprendere iniziative più decise che nel resto d’Italia. Oppure si potrebbe dare ai comuni più libertà di manovra, così che ognuno si regoli in base alle necessità locali.

Quanti sono gli appartamenti affittati a uso turistico ad Arco?
Quelli regolari, registrati con Cipat, sono poco meno di 500. Il problema è chi affitta in nero, pratica alimentata dagli affitti brevi.

Servirebbero più controlli?
Ne va della qualità di vita dei residenti che si trovano un viavai quotidiano, e spesso, diciamolo, di bassissima qualità. Ma anche per la sicurezza di quegli stessi ospiti che si mettono in situazioni pericolose e non a norma.

E per chi vuole vivere ad Arco?
Impossibile trovarla senza conoscenze e raccomandazioni. Si impedisce alle coppie consolidate di mettere su famiglia, come ad aziende e servizi di assumere lavoratori essenziali. Mancano gli stagionali, ma anche gli insegnanti, gli infermieri, la polizia locale. È così che si svuota una comunità.

La situazione più ingiusta?
Chi ha riscattato una casa Itea a prezzo vantaggioso e adesso la immette sul mercato degli alloggi brevi turistici. È l'esempio più eclatante di quello che sta accadendo, la negazione del diritto alla casa e un'azione che distrugge la comunità dal suo interno.

E gli effetti sul centro storico?
Ha da poco chiuso un'attività trentennale per fare spazio a un negozio di articoli sportivi outdoor. I residenti non possono vivere solo di questi, di catene e di gelaterie. Abbiamo bisogno anche di librerie, piccoli commercianti, attività che non si basino solo sulla stagionalità.

Come incentivare un ritorno a formule più durature di affitto?
Bisogna ripensare alle tutele per quei proprietari di casa che decidono di affittare per periodi più lunghi e spesso hanno a che fare con la morosità degli inquilini. Ma io credo anche nella sensibilizzazione della comunità, bisogna far conoscere l'urgenza del tema.

Secondo lei si può agire anche sugli appartamenti sfitti?
Qui è già più complesso, le ragioni dietro un appartamento non abitato possono essere le più varie.

A quali misure pensa?
Alzare la tassa di soggiorno a chi non fornisce servizi e non crea lavoro. Aumentare i controlli. Vietare di improvvisarsi imprenditori turistici con singoli posti letto affittati per uno o due giorni. Distinguere chi lo fa per professione, ed evitare soluzioni miste in edifici non pensati per tale scopo.













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