Ex Argentina, processo finito:  vittoria per Miorelli e la Cosmi 

Corte d’Appello. Reato derubricato da lottizzazione abusiva a “semplice” abuso edilizio: già scattata la prescrizione Incubo finito anche per la dirigente Simoncelli e i progettisti. Confermate le assoluzioni di Bresciani e Mancabelli 


Gianluca Marcolini


Arco. Non la si può definire una vera assoluzione, giuridicamente parlando, ma poco ci manca. Un illecito c’è stato, così ha sentenziato la Corte d’Appello di Trento, ma non è il reato di lottizzazione abusiva stabilito nel processo di primo grado, bensì l’assai meno grave abuso edilizio per il quale, tra l’altro, è già scattata la prescrizione. Per Roberto e Gianluca Miorelli, e la loro Cosmi, è di fatto una vittoria che li metterà in condizione, tra qualche settimana, di chiedere la restituzione di parte del complesso residenziale realizzato all’ex Argentina, posto sotto sequestro dopo la sentenza di primo grado pronunciata il 31 maggio del 2017 dal tribunale di Rovereto. Incubo finito anche per la dirigente dell’ufficio tecnico di Arco Bianca Maria Simoncelli e per i tre progettisti Alessio Bolgan, Bruno Ferretti, e Mariano Zanon. Assieme all’abuso edilizio, prescritto, i giudici della Corte d’Appello hanno stabilito il risarcimento di 25mila euro in favore della parte civile, l’associazione ambientalista Italia Nostra, e il pagamento delle spese processuali. Assoluzione piena, invece, per la geometra dell’ufficio tecnico Tiziana Mancabelli e il vicesindaco di Arco Stefano Bresciani: confermata, in Appello, la sentenza di primo grado.

In tribunale a Trento, ieri alle 18, si è dunque giunti alla conclusione della vicenda processuale che ha tenuto gli arcensi col fiato sospeso per tre anni, animando il dibattito politico e il chiacchiericcio da bar. Tutto finito, salvo che la Procura non decida di ricorrere in Cassazione, prospettiva che poteva apparire certa, almeno fino alla lettura della sentenza, ma che adesso sembra tutt’altro che scontata.

L’ultima udienza del processo si è aperta poco dopo le 13. Il primo a prendere parola è stato il Pm Giuseppe De Benedetto che è partito subito all’attacco, ricordando a tutti - tattica processuale - il fatto che l’iniziale accusa di abuso d’ufficio era stata messa da parte, al termine del processo di primo grado, solamente per avvenuta prescrizione del reato e che nessuno dei cinque imputati aveva chiesto di non avvalersene. Poi ha sganciato la sua bomba, chiedendo alla Corte di riaprire la fase dibattimentale per accertare, per ogni singola unità dell’ex Argentina venduta dalla Cosmi, la sussistenza della “buona fede” dell’acquirente e in subordine il sequestro dell’intero complesso residenziale. L’avvocato di parte civile Nicola Stolfi ha calcato la mano soprattutto sulla questione delle volumetrie, ponendo l’attenzione sulla mancata realizzazione della parte alberghiera del complesso. Lunga e molto tecnica l’argomentazione dell’avvocato Flavio Bonazza, per la difesa degli imprenditori, che ha puntato il dito in particolare contro quelli che ha definito gli errori palesi contenuti nella perizia del consulente del tribunale, l’architetto Maccabruni. Più celeri, invece, gli interventi degli altri legali del pool della difesa, comunque legati tutti dal medesimo filo conduttore della «corrispondenza fra quanto concessionato e ciò che è stato realizzato», in base alle norme urbanistiche vigenti.

«Ero convinto della nostra tesi, le norme ci sono e sono state interpretate e non si può pensare di condannare la gente sulla base della suggestione: ora aspetteremo le motivazioni e poi chiederemo il dissequestro dell’immobile», le parole espresse da Roberto Miorelli.

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