I resti del cimitero in val Venosta rivelano: flussi migratori alla fine dell'impero romano
A distanza di quarant’anni dal ritrovamento di resti ossei nella chiesetta di Burgusio, le analisi antropologiche e genetiche condotte dall'Eurac aprono uno scorcio sugli spostamenti e l’organizzazione sociale nel primo Medioevo
BOLZANO. I resti conservati nel cimitero altomedievale di Burgusio, in alta val Venosta in Alto Adige, sono stati scoperti alla fine degli anni Ottanta dalla Soprintendenza provinciale ai beni culturali, durante i lavori di restauro della chiesetta di Santo Stefano. Si tratta di esigui corredi funerari e numerosi resti ossei: sia scheletri completi, che ossa sparse.
Dal punto di vista archeologico questi ritrovamenti hanno suscitato due interrogativi principali: le persone sepolte nel cimitero hanno origini diverse? Gli individui trovati in un'unica tomba sono imparentati tra loro? A distanza di quasi quarant'anni, le analisi antropologiche e genetiche svolte nei laboratori di Eurac Research offrono delle risposte e aprono uno scorcio su flussi migratori e organizzazione sociale nel primo medioevo (IV-VII secolo d.C.).
I dati archeologici ci raccontano che, in epoca altomedievale, la fine dell'impero romano ha favorito lo spostamento di persone provenienti da nord, ovest ed est, per cui gli archeologi locali si chiedono se le persone sepolte a Burgusio avessero origini diverse.
«Nella tomba 2 erano presenti sia scheletri completi, che resti di crani e altre ossa sparse», spiega la bioarcheologa Alice Paladin, «In seguito al nostro studio è emerso che i resti della tomba 2 appartenevano a un numero minimo di 13 individui e la maggior parte di quelli studiati geneticamente erano imparentati. Abbiamo ad esempio individuato la presenza di un padre e di un figlio. Tuttavia, non tutti avevano rapporti biologici di parentela».