Se il ricordo di Giancarlo Siani fa ancora paura



Per capire il senso della nostra battaglia al fianco dei giornalisti che ogni giorno vengono minacciati, per comprendere perché non si può non dar continuamente voce a chi ogni giorno si batte per informare, per condannare, per denunciare, basterebbe una notizia di qualche giorno fa: il Comune di Battipaglia, in provincia di Salerno, ha rifiutato di intitolare un padiglione di una scuola a Giancarlo Siani.

Siani è un simbolo. Come è un simbolo la sua Citroën Méhari con capote in tela: la camorra lo uccise su quell’auto nel 1985.Era il 23 settembre. Lui aveva 26 anni. Era armato di una penna, di un taccuino e di una gran voglia di capire gli affari (e gli intrecci criminali) che stavano prosperando attorno alla ricostruzione successiva al terremoto dell’Irpinia. I suoi assassini, almeno due, stando alle infinite inchieste che hanno attraversato più decenni, avevano pistole Beretta. E gli spararono non una, ma dieci volte alla testa. Sotto casa sua, in via Vincenzo Romaniello, nel quartiere napoletano dell’Arenella.

«Ci vogliono ancora 100 passi» per abbattere le mafie, ha scritto ieri Paolo Siani, fratello di Giancarlo, citando idealmente anche Peppino Impastato. Perché erano cento passi (come ben ricorda chi ha visto il bel film di Marco Tullio Giordana) quelli che a Cinisi, paesino siciliano incastrato in una posizione strategica per qualsiasi traffico illecito, separavano la casa di Peppino Impastato da quella di Tano Badalamenti, il boss locale. Peppino, dopo varie esperienze, fondò «Radio aut», una voce contro l’omertà e contro chi stava trasformando Cinisi in Mafiopoli. Quando decise di candidarsi alle elezioni comunali - per portare il tema della mafia e della droga all’attenzione della politica - lo fecero saltare in aria sui binari della ferrovia con sei chili di tritolo, nelle stesse ore in cui le BR facevano ritrovare il cadavere di Aldo Moro. Per anni cercarono di convincerci che si trattò di un incidente sul lavoro o di un suicidio.

Il no di ieri all’intitolazione di un padiglione di una scuola a Giancarlo Siani - come giustamente hanno ricordato i colleghi di Articolo 21 e della Fnsi - fa tristemente percepire quanto la strada da percorrere sia ancora lunga. «Sarà il caso che a Battipaglia chiedano scusa e che intitolino la scuola a Giancarlo Siani» ha detto senza tanti giri di parole il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, che solo pochi giorni fa ha partecipato a un presidio per la libertà di stampa promosso da Ordine e Sindacato dei giornalisti davanti alla Mehari di Giancarlo. Negare quell’intitolazione, richiesta dai docenti e da molti studenti, significa ricostruire con un muro di silenzio il velo che Giancarlo aveva strappato con le sue inchieste. Significa insultare la memoria, nascondersi in quell’indifferenza nella quale la mafia ama sguazzare. 

Battipaglia raramente finisce in prima pagina, ma parlare di Siani, di Impastato, di Federica Angeli, di Paolo Borrometi, di Lirio Abbate, di Roberto Saviano e di tutti i colleghi che ogni giorno vivono sotto scorta per ciò che scrivono, in un comune che nel 2014 è stato sciolto per collusioni criminali, ha un significato alto, speciale, fondamentale.

Le agenzie di stampa dicono che la sindaca di Battipaglia, Cecilia Francese, ha già detto che si è trattato di un errore e di una distrazione (distrazione???) a cui porrà rimedio. Lei ha firmato il verbale della commissione toponomastica che doveva esprimersi sulla proposta pervenuta dall’istituto comprensivo “Fiorentino”. E ora - per citare ancora i colleghi che si battono per difendere la libertà di stampa - è inevitabile auspicare che la prossima riunione della commissione non si faccia attendere molto. Perché anche la buona fede è un esercizio concreto e ha tempi stretti.

Per qualche giorno abbiamo cercato di parlare di colleghi che il Paese dovrebbe onorare ogni giorno, sentendoci in parte anche soli, perché non sono purtroppo moltissimi i riflettori che si sono accesi in queste giornate sui cronisti minacciati. C’è ancora molto da fare. C’è ancora molto da lavorare. 

 













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