il personaggio

Rosanna, la sarta con il sorriso: «Da 20 a 98 anni, tutti sono uguali»

Alla Sartoria resiste il lavoro manuale come una volta: «Il rapporto con i clienti è parte essenziale della qualità del servizio» 


Daniele Peretti


TRENTO. Rosanna Pancheri alle Canossiane da studentessa a maestra di Laboratorio; in mezzo un diploma all’Istituto di Moda e Design Secoli di Milano per accontentare il papà. Papà che alla fine ha accettato di lasciare libera scelta a Rosanna non obbligandola a frequentare Ragioneria come avrebbe voluto, ma a patto che ottenesse comunque un diploma. Poi anche molte collaborazioni con negozi di Trento fino all’incontro con Giuseppina Di Giorgio che ha dato vita a La Sartoria, era il 2004.

Cosa vuol dire oggi fare la sarta? Vuol dire eseguire la maggior parte dei lavori che una volta si facevano a casa come gli orli o attaccare i bottoni. Poi si stringono o si allargano gli abiti. Si lavora anche su misura, ma esclusivamente da donna anche se a Trento non c’è più nessun sarto da uomo pur con una forte richiesta. Facciamo anche tappezzeria, tende e tovaglie.

Un attimo, attaccate i bottoni? Certo nelle nuove generazioni praticamente nessuno è capace di farlo. Si è voluto togliere Economia Domestica dalle scuole che era una materia che insegnava anche a fare i piccoli interventi di sartoria? Il risultato è questo: si va dalla sarta per farsi attaccare un bottone. Oppure si butta proprio l’indumento se è di quelli economici.

A Trento non c’è un sarto da uomo? Hanno chiuso tutti. La richiesta è anche un fatto generazionale seppur è ancora molto forte. Per farlo serve non solo un’attrezzatura specifica, ma anche un diploma specifico. Chiuse le vecchie attività è finito un mondo.

Ma il mestiere della sarta ha un futuro? Al momento attuale c’è troppa concorrenza di attività cinesi e pachistane, tant’è che non c’è un margine per progettare il domani. Noi puntiamo sulla qualità del servizio e dei prodotti, loro sul prezzo. Noi non possiamo fare differenza se lavoriamo un capo economico o di lusso: la spesa è uguale. Loro avendo dei prezzi più bassi rendono più conveniente la lavorazione di capi a basso costo. In questo sono aiutati dalla gente che non capisce le ore che si impiegano. Siamo costrette a limitare il guadagno pur di lavorare. Non esiste più la sarta di famiglia e così si è persa una tradizione che negli anni passati era cosa comune.

C’è richiesta di imparare il lavoro? Al di là degli stage, c’è troppa burocrazia. Poi anche un semplice apprendista genera una presunzione di reddito e quindi fiscalmente non conviene. In un’ottica futura di proseguimento della nostra attività, non è cosa positiva. Però un minimo di investimento per adeguarsi ai nuovi tessuti è quasi obbligatorio. La produzione è cambiata, non si lavorano più solo i tessuti tradizionali, ma i tessuti elastici, tecnici e le giacche di piuma. Alle volte oltre al macchinario, bisogna pure inventarsi come cucirli. Bisogna stare dietro ai tempi sia con la tecnica che con la manualità cosa che oggi manca a carattere generale.

La richiesta più particolare? Sono state due. La prima quella di una signora che si è presentata con un abito bianco con una profonda scollatura sulla schiena che voleva ridurre. Piccolo particolare non c’era la stoffa. Ci siamo riuscire con un drappeggio che alla fine ha reso ancora più elegante e accattivante l’abito. Non facciamo abiti da sposa e così una nostra cliente si è presentata chiedendoci di fare un vestito da cerimonia su misura. Dopo alcune settimane è passata in sartoria per farci vedere le foto. In realtà quell’abito da cerimonia era quello da sposa che abbiamo fatto in maniera del tutto inconsapevole. Rimane male quando... Tutte le volte che un cliente non ci crede se diciamo che il lavoro richiesto non si può fare, ribattono dicendo che sono certe che verrà benissimo dimostrando che non credono a quello che diciamo. Quasi sempre rifiutiamo.

Invece una soddisfazione? La ricevo di riflesso quando il lavoro soddisfa il cliente che vedo contento. Non è una cosa scontata ed ancora oggi dopo tanti anni c’è la curiosità di vedere la sua faccia quando osserva quello che abbiamo fatto.

Com’è cambiata la clientela in questi anni? Anni fa si accontentava di più, oggi pretende la perfezione. È anche una questione di soldi. Quando ne avevamo di più si badava meno a come si spendevano, oggi si sta molto più attenti.

Il cliente tipo? La nostra clientela va dai 20 ai 98 anni. I giovani arrivano per i vestiti della laurea, gli anziani perché ci tengono molto a fare bella figura. In mezzo ci sono tutti gli altri che arrivano con ogni tipo di richiesta.

Se dovesse dare una breve definizione de La Sartoria? La prendo in prestito da quello che dicono i clienti: la casa del sorriso, dove si è accolti con cordialità, non si fanno valutazioni su quello che ci viene portato: tutti i clienti sono uguali. Del resto mio padre mi ha insegnato che nel rapporto con la gente la prima cosa è salutare con un sorriso.

Che consiglio si sente di dare a chi comincia il lavoro della sarta? Quello di non perdere nessuna occasione per imparare e quando c’è la possibilità di fare di tutto per rubare il mestiere che è l’unico modo per andare oltre la scuola. In che senso? A scuola insegnano solo le basi, ma ai ragazzi non viene spiegato ad esempio come si fanno le riparazioni, come si coprono i difetti. È una preparazione parziale che va completata sul campo.













Scuola & Ricerca

In primo piano