La sommelier che tinge di rosa il mondo del vino trentino
Valeria Tait racconta i prodotti della Cantina Cesconi. La passione è di famiglia, ma per lei è scattata col corso
CAVALESE. Il vino va raccontato, spiegato e narrato fino a far innamorare per la sua storia. È questa la filosofia con la quale Valeria Tait affronta la sua professione di sommelier. Si definisce una divulgatrice ed una mediatrice e per farlo rifugge dai tecnicismi, preferendo parole semplici che ti portano con delicatezza ad apprezzare ciò che bevi. Valeria Tait dopo il diploma al Liceo Linguistico e la laurea in Lingue Straniere con indirizzo turistico commerciale, ha voluto accettare la sfida di una famiglia nella quale tutti erano sommelier. «A livello famigliare abbiamo gestito il ristorante Costa Salici che ora abbiamo deciso di chiudere, ma sinceramente il mondo del vino non mi aveva mai affascinato. Mi sono detta, ma se lo sono tutti perché anch’io non posso fare la sommelier? Mi sono iscritta ed in un anno ho concluso i tre livelli del corso che mi ha fatto cambiare idea: adesso sono innamorata del vino».
Inizialmente il doppio lavoro di impiegata e sommelier e poi il passaggio definitivo.
Nel 2015 il corso e due anni dopo l’inizio della nuova professione. Ho iniziato a lavorare al ristorante Il Molin dov’ero cameriera e aiuto sommelier. Dopo un anno il passaggio a sommelier e responsabile dell’enoteca e Wine Bar.
A seguire la decisione di abbandonare la Val di Fiemme e cercare nuove esperienze.
Pensavo potesse essere una scelta giusta e mi sono trasferita a Verona per lavorare a Casa Perbellini, peccato che sia arrivato quell’accadimento imprevedibile della pandemia a rovinare tutto. Sempre il doppio impegno della sala e del sommelier, ma poi siamo stati costretti a chiudere tutto. Ed è stato allora che ho deciso di debuttare nel ristorante di casa, il Costa Salici, dove mio fratello era responsabile della cucina ed io della sala.
Ma avete deciso di chiudere?
Temporaneamente si e così da ottobre lavoro alla Cantina dell’azienda agricola Cesconi seguendo l’ospitalità e le degustazioni.
Donna in una realtà primariamente maschile: come si è trovata?
L’ho trovata neutrale, nel senso che non ho mai incontrato ostacoli, favoritismi o atteggiamenti di parzialità anche se fino a quando ho fatto il corso le figure femminili erano davvero poche, ma stiamo crescendo.
Che definizione darebbe del suo lavoro?
Mi considero una mediatrice tra i produttori ed i clienti finali che riesce a trovare un punto d’incontro tra le diverse esigenze; ma anche una divulgatrice, una sorta di oratore che racconta il vino nel presente, ma anche tutta la sua storia passata, da dove viene fino a far innamorare le persone di quello che stanno bevendo.
Ci vuole anche fantasia.
Molta ed il top è quando si ottiene il risultato senza aver studiato più di tanto il vino e la sua storia.
Soddisfazioni?
Oh è un lavoro che ne dà tante. La principale è quando i clienti si complimentano per come ho spiegato il vino e mi dicono che ho dato delle spiegazioni semplici e comprensive.
La sua è stata una vita a tappe, le prossime?
Mi piacerebbe riuscire a diventare una figura di riferimento per il mio territorio, essere considerata una divulgatrice del nostro vino. Per farlo dovrei collaborare con più cantine e non solo ospitare, ma anche cercarne di nuove.
I vini che le piacciono di più?
Sono una convinta cabernettista, mi piacciono i vini rugosi e quelli che si ammorbidiscono con gli anni, diciamo che oltre al cabernet, mi piacciono i rossi strutturati.
Non berrebbe mai...
Disponibile ad assaggiare tutto, ma ecco quello che proprio non bevo sono i distillati.
Come approccia un gruppo in visita?
Prima di tutto si deve capire chi si ha di fronte. Se sono esperti del settore oppure dei novizi e questo serve per regolare il linguaggio. Inutile parlare di morbidezza o di calore in bocca se il tuo opposto non è in grado di capirne il significato. Poi non mi soffermo troppo sulla descrizione del vino, preferendo parlare delle sue caratteristiche. Infine entro nel racconto vero e proprio del vino prendendo spunto dal territorio di produzione, ma anche dal terreno nel quale sono coltivate le vigne.
L’enologo e il sommelier hanno ruoli completamente diversi, giusto?
Sì. L’enologo è il tecnico che si occupa di trasformazione e produzione del vino, il sommelier invece interviene dopo, si occupa della parte post produttiva e ha un ruolo non dipendente in modo esclusivo dal vino, ma può spaziare.
Le piace sentirsi dire?
Mi fa molto piacere quando mi dicono che trasmetto il mio entusiasmo e che si capisce che ne parlo con piacere. È vero perché quando entro in cantina guardo l’orologio e magari mi prefiggo anche un termine della visita. Però una volta che sono dentro il tempo s’annulla e non mi rendo più conto di quante ore siano trascorse. È bello che anche ai visitatori succeda altrettanto.
Il sommelier trasmette un contatto diretto che internet nega, sono due mondi in contrasto o che si possono integrare?
Dipende dal soggetto finale. Internet promuove, permette d’incontrare un numero infinito di persone e a livello commerciale ha una potenzialità positiva. Va bene per chi si ferma all’offerta o vuole solo acquistare il vino di una determinata cantina. Ma poi ci sono tutti gli altri che “toccati” vogliono conoscere personalmente quella cantina oppure uno specifico vino e allora entra in gioco il sommelier e la sua capacità di fare accoglienza e divulgare.