Francesca Fatichenti: «Emozioni, corpo e pensiero: sono un’attrice»
Dopo gli studi al Prati la consapevolezza di voler andare oltre la teoria. E la recitazione come strumento totale di conoscenza
TRENTO. Francesca Fatichenti, trentina, classe 1996, si è diplomata alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi nel corso di recitazione. Ed ora è un’attrice.
Quando era una bambina cosa avrebbe voluto fare da grande?
I miei sogni da bambina sono andati cambiando: ricordo che ero incerta tra l’archeologa, la pirata e la monaca. Credo che il cuore di queste tre aspirazioni si sia in qualche modo fuso nel mestiere che faccio ora: l’attenzione per portare alla luce e rendere fruibile la cultura del passato, la passione per l’esplorazione e l’avventura dell’essere sempre in luoghi diversi e con persone diverse, e l’impegno spirituale che il mestiere di artista porta con sé.
Il liceo classico le ha lasciato un’impronta importante?
Frequentare il Prati mi ha permesso di innamorarmi della storia dell’arte e della poesia e di imparare facilmente nuove lingue fra cui il francese e lo spagnolo. D’altra parte, durante gli studi sentivo che gran parte del mio sviluppo in quanto persona (quello affettivo e quello fisico in particolare) non veniva coperto dal corso di studi. In qualche modo percepivo che le domande che la mia naturale crescita mi poneva non venivano considerate dagli studi che seguivo. Questo mi ha portata a dirigere i miei interessi lontano dalla formazione teorica e più vicino ad una istruzione olistica, quella dell’attore, che vede lo sviluppo del pensiero indissolubilmente legato a quello del corpo e delle emozioni.
Dall’esperienza in India quali ricordi conserva?
La percezione della distanza siderale fra due culture diverse, la cui etica varia coi diversi codici di relazione, e al tempo stesso l’uguaglianza fondamentale del cuore di ognuno di noi. Un piccolo ricordo assurdo: una scimmia che, nella casa in cui abitavo nel centro di Jaipur, città di tre milioni di abitanti, entra dalla finestra, vede il mio portafogli aperto, afferra una moneta (guarda caso, una moneta storica che mi era stata regalata poco prima) e scappa via.
E di quella cilena?
Il Cile è stato il mio primo grande viaggio, avevo quindici anni e ne conservo molti ricordi precisi. Quello più forte è il mare. Dopo aver viaggiato per ore nel deserto, avvistando qui e là un lama o un alpaca, arriviamo con la mia famiglia ospitante in un paese costiero. È inverno e i turisti che lo affollerebbero normalmente lasciano il posto a una solitudine silenziosa. Solo una donna vende i suoi gioielli creati con i reperti del mare, dentro un baracchino che si affaccia sulla strada. Superandolo, scopriamo finalmente la spiaggia. Lo stupore è istantaneo e dura fino ad oggi: non esistono limiti al mio sguardo né a destra né a sinistra, e la potenza dell’infinita terra deserta che si fonde con l’oceano tranquillo, sotto uno dei cieli più limpidi del mondo, è disarmante. Questo momento di pace e connessione con l’illimitato rimarrà sempre con me.
Pensa che essere attrice sia una scelta definitiva o invece una tappa verso altre mete?
La vita è un viaggio e il cambiamento ne è il cuore. Non posso prevedere ciò che sarò nel futuro, e i momenti finora più creativi della mia carriera sono stati quelli in cui la mia identità di attrice era sostenuta da un’identità personale che si distaccava dalla recitazione. Credo che, con la crescita, gli obiettivi e le circostanze possono cambiare, e vanno assecondati con intelligenza e coraggio. Resterò sempre interessata alla crescita personale, alla comunicazione, alla creazione di mondi immaginari, all’espressione attraverso l’arte. Resterò per sempre un’attrice. Ma non posso sapere la tappa successiva della mia vita: posso solo immaginarla.
A quale scopo ha frequentato laboratori di scrittura creativa?
Il mio obiettivo è scrivere uno spettacolo da sola e portarlo in tournée, e al tempo stesso far parte di una compagnia collaborativa con la quale creare nuova drammaturgia. Per questo ho avuto bisogno di strutturare il mio interesse per la scrittura.
In che senso?
Da attrice, sento che la conoscenza dei meccanismi dietro la creazione del testo mi permette di avere una sensibilità maggiore nell’interpretazione: capisco meglio l’obiettivo, cosa il drammaturgo sta facendo e perché.
Tra le esperienze teatrali e cinematografiche, quali considera le più significative?
C’è uno spettacolo preciso che ha segnato lo spartiacque nella mia percezione di me stessa a livello professionale: “La Tragedia è Finita, Platonov”. Diretta da Liv Ferracchiati e al fianco di attori quali Alice Spesa e Matilde Vigna, entrambe premio Ubu, Petra Valentini, che ha recitato per anni con Toni Servillo, e Riccardo Goretti, mi sentivo all’inizio una bambina fra giganti. Dopo un anno e mezzo di prove, debutti e tournée, intervallati dai vari lockdown, imparando dall’altissimo livello degli artisti che mi circondavano, dopo aver ricevuto una menzione speciale alla Biennale di Venezia e aver calcato le scene del Piccolo di Milano, ero diventata consapevole delle mie capacità.
Ha lavorato anche in carcere, con un “teatro partecipato”: cosa vuol dire?
Nei miei studi alla scuola Paolo Grassi, ho seguito un laboratorio di Mimmo Sorrentino nelle carceri femminili di Vigevano. Il gruppo con cui lavoravamo era composto da una decina di donne a condanna lunga per attività legate alla mafia. Il percorso che di solito viene loro proposto è a fini rieducativi, e si focalizza su comunicazione, elaborazione dei sentimenti e una corretta moralità. Per queste donne il teatro è una delle poche occasioni di esprimersi attraverso il corpo e la voce, senza timore di essere giudicate, e toccare corde traumatiche in un ambiente protetto. Vedere le detenute recitare davanti al pubblico è stato commovente: grazie al percorso, avevano acquisito la consapevolezza che il loro passato può essere elaborato per diventare arte benefica e che la loro testimonianza è importante e ha il diritto di essere ascoltata.
Ora sta frequentando la Royal Center School of Speech Drama all’Università di Londra: cosa le ha insegnato fino ad ora?
Che, come dice il fotografo Avedon, “everything is art if you perform it at the level of an art” (Tutto è arte se lo fai al livello dell’arte). Intendo che non importa quale sia la spinta creativa, la vera creatività sta nel credere in quella luce pura dell’intuizione e seguirla fino ai limiti della conoscenza. È l’unico modo per avanzare.