Dal Trentino all'Ucraina, la mamma torna sotto le bombe
Mariya ha 38 anni, è ucraina e vive in Trentino da 13 mesi. Tra pochi giorni, con i figli di 6 e 4 anni, tornerà dal marito a Leopoli: "Tanti mi chiedono perché. Mio marito è rimasto lì, potrebbe essere arruolato, penso sia giusto portargli i nostri figli"
NOGARE'. Questa è una storia di amore, di guerra, di madri, di padri e di angeli custodi. Non importa come la pensate sul conflitto in corso tra Russia e Ucraina. Questa è una storia che va oltre gli steccati. La protagonista si chiama Mariya. Mentre in Ucraina cadono le bombe, lei - che vive al sicuro a Nogaré (Comune di Pergine Valsugana, Trentino, Italia, pace) - sta progettando il suo ritorno a Leopoli. Sta preparando i bagagli, per sé, per la madre - che qui fa la badante - e per i figli Zaccaria e Michele di 6 e 4 anni. Data del ritorno: da definire, ma si parla della seconda metà di maggio. Una scelta non facile, ma meditata. «Ci ho riflettuto, a lungo, con mio marito, che è rimasto là».
Ma perché Mariya vuole tornare in Ucraina? Ci arriviamo. Prima però facciamo un passo nel passato. Tredici mesi fa, a bordo della sua piccola utilitaria, una Daewoo Matiz gialla che oggi conta 86 mila chilometri, dopo un viaggio di 4 giorni. E' arrivata qui da noi, ospite di una famiglia perginese e poi della parrocchia di Nogaré. Qui si è ricostruita una vita. Fondamentale è stato l’aiuto della Caritas e del Cinformi. E poi ci sono i volontari e i nuovi amici che hanno creato una rete di protezione attorno a lei e ai suoi piccoli. «Qui ho incontrato tanti angeli custodi». C’è Franco Chini, che opera nel consiglio pastorale di Nogaré e che si dà da fare per dare aiuto ai profughi ucraini che fuggono dalla guerra. Ci sono Renata Girelli ed Elena Chisté di San Michele all’Adige e Zambana. «E poi c’è Cristina che è come una sorella e quando i bambini hanno qualche problema me la trovo sotto casa, pronta ad aiutare».
Ci sono legami forti con il Trentino e con i trentini. La madre di Mariya, Alina, qualche tempo fa ha fatto cure oncologiche ad Avellino: chemioterapia, trapianto di midollo, trasfusioni. «Nelle mie vene scorre anche sangue italiano. Amiamo l’Italia. Il vostro Paese ci ha aperto le braccia» ci dice. Maria dal 2009 al 2012 ha vissuto a Gardolo. «Per un periodo ho lavorato come assistente alla poltrona da un dentista, il dottor Alberto Nadalini. Dottoressa è anche lei, ma in economia e commercio. «Ho fatto tanti lavori, fra cui la guida turistica. Ci si adatta. Le cose si possono fare».
Una storia di umanità che unisce Leopoli alla provincia di Trento, l’Ucraina all’Italia. Mariya il suo viaggio verso la salvezza lo ha fatto in compagnia della madre, che qui è di casa: una vita da una famiglia all’altra a fare da badante ai nostri anziani; come la figlia parla bene l’italiano e pure il dialetto (a qualche assistito ha pure cantato “la Valsugana”). Il viaggio verso la salvezza, nella paura e nella speranza, lo possiamo solo immaginare. Maria racconta che ad un certo punto - nel percorso fatto di pause, di notti dormite nell’abitacolo della Matiz, di pappe da dare al piccolo Michele e di preghiera (la famiglia è di religione greco cattolica) - il navigatore del cellulare ha smesso di funzionare. «Il guasto e la stanchezza ci hanno fatto perdere l’orientamento. Ad un certo punto siamo finite a Bolzano e siamo andate fino ad Udine prima di capire di aver sbagliato strada». Poi la pace: prima cinque mesi a Pergine, poi il trasferimento a Nogaré, il sostegno della comunità e del parroco don Marco Berti.
«Zaccaria - racconta nonna Alina - parla molto bene italiano. Per i bambini non è stato facile. All’inizio, quando di qui passava qualche ambulanza diretta sul luogo di un incidente, lui pensava che la sirena fosse la stessa che annuncia attacchi missilistici, come a Leopoli. Era abituato a correre nel bunker del condominio dove abitava la zia Sofia, un bunker costruito dagli austriaci in quel palazzo antico nel centro di Leopoli. Urlava: “Nascondiamoci! Putin sta per bombardare”. Per lui, per tutti, non è stato facile».
Ma allora, a maggior ragione, oggi la domanda è: perché?. Perché ritornare a Leopoli? Mariya sorride: «Me l’hanno fatta in tanti questa domanda... Al momento Leopoli non è sotto le bombe. Non so cosa accadrà. Nella casa dove tornerò con i bambini, quella in cui sono cresciuta, il bunker comune è quello della chiesa più vicina. Come nell’altro bunker ci stanno da 50 a 60 persone». Ma perché tornare in un Paese in guerra? «Perché là c’è mio marito Michele, il padre dei nostri figli. Lui vorrebbe che io restassi qui al sicuro, ma io ci ho pensato. Lui potrebbe essere arruolato dall’esercito ucraino. Finora non è successo. Potrebbe accadere tra una settimana, tra un mese o due. Oppure potrebbe non accadere mai. Oppure potrebbe essere arruolato domani e potrebbe succedere il peggio. Ecco, io ci ho pensato e credo che sia giusto portargli i nostri figli, farglieli abbracciare. È un padre. E un padre da noi, in una famiglia, vale esattamente come una madre. I bambini hanno bisogno di un papà. E poi sono due maschietti e hanno bisogno di una figura maschile, di un esempio da seguire. Hanno bisogno di avere accanto il papà come lui ha bisogno di avere accanto loro».
Ci guarda. Sorride perché riconosce lo sguardo di chi pensa: “Inventatevi qualcosa per far arrivare lui in Italia, per farlo espatriare, per mettere al sicuro anche lui, anziché rischiare tutti”. Sorride, leggendoci nel pensiero: «Siamo una famiglia e le famiglie stanno unite. È la promessa che ci siamo fatti. Non posso rischiare di non vederlo più e che i bambini non lo vedano più. Se succede il peggio, se va in guerra e poi non torna... cosa posso dire io ai nostri figli?». Ma perché non siete venuti tutti e quattro in Italia, fin dall’inizio? «Perché il Governo di Kiev non lo permette. La regola dice: “Tu, uomo, puoi espatriare se hai moglie e almeno tre figli. Se ne hai solo due, tua moglie e i bambini possono scappare ma tu rimani qui”. E poi puoi andare in guerra, se serve». Mariya non esclude, se le cose si mettono male, di ritornare in Trentino, dove la sua famiglia, benché dimezzata, si sente a casa. «Nostro figlio Zaccaria (non dice mai “mio figlio”, dice “nostro figlio”) lo abbiamo pure preiscritto alle elementari qui, ma vorrei che potesse frequentare la scuola a Leopoli. La sua casa è là». E le amiche e gli amici trentini che dicono? «Tutti capiscono. Tante donne ucraine stanno facendo questa mia stessa scelta. Alcune amiche mi dicono: “Fai il terzo figlio e poi venite tutti qui”. Ma in Ucraina vivono i genitori anziani di mio marito e comunque mettere al mondo un bambino in questo mondo non so...» Fa una pausa e poi aggiunge: «Però se Dio ci regala un altro bambino siamo felici. Sarebbe un altro regalo del Signore».