«Come l’arte, anche il restauro va tramandato ai posteri»
Enrica Vinante, 37 anni di lavoro nei maggiori monumenti: «La nostra opera non finisce mai»
TRENTO. Per Enrica Vinante restauratrice a Trento dal 1986, il restauro è cosa prettamente femminile. «Diversa è la pazienza, l’approccio all’opera, ma la sensibilità di una donna rispetto ad un uomo - dice Enrica - è diversa e non per nulla è un settore declinato al femminile per l’80% di chi lo pratica».
Dopo essersi laureata all’Istituto d’Arte, Enrica vince una borsa di studio che da una svolta alla sua vita professionale. «In quegli anni le possibilità di formazione erano decisamente poche e fortunatamente vinsi una borsa di studio triennale indetta dalla Provincia che mi permise di andare a bottega da uno maggiori restauratori italiani: Ottorino Nonfarmale di Bologna col quale ho potuto accedere a cantieri di alto livello come la Basilica di San Marco a Venezia, il Duomo di Ferrara, il Palazzo Comunale di Siena e la Cattedrale di Chartres in Francia».
Un percorso con molta formazione manuale.
Questa è la differenza tra i miei tempi e gli attuali. Nei miei anni si acquisiva manualità e si faceva esperienza sul campo, oggi c’è molta teoria che però non è l’unica cosa che serve quando ci si trova di fronte ad un’opera da restaurare.
Dei due percorsi formativi quale ritiene possa essere il migliore?
Per me la manualità non è mai abbastanza e ti porta ad un’esperienza che è unica.
Nel 1986 la decisione di mettersi in proprio.
Non fu una scelta facile, forse anche in parte incosciente. Consideriamo che essendo nata a Telve in città non avevo conoscenze che mi potessero aiutare nella professione. Ma ci ho creduto e mi sono lanciata.
È stato difficile crearsi uno spazio?
Non più di tanto. Intervengo esclusivamente su beni tutelati e quindi mi coordino con la Soprintendenza, eseguo anche lavori conservativi diciamo che opero in un settore di nicchia.
Nei suoi interventi c’è mai stata una scoperta?
A Palazzo Lodron, attuale sede del Tar. Mi avevano chiamato per un intervento urgente perché si era parzialmente staccata la pellicola pittorica del soffitto. Facendo un’analisi con la luce radente ho notato alcune piccole tracce di disegni che uscivano dal rivestimento in legno delle pareti. Abbiamo approfondito decidendo di staccare le assi scoprendo così degli affreschi inediti risalenti alla seconda metà del cinquecento che erano ad ornamento di tutta la stanza.
Come si approccia ad un’opera da restaurare?
Ci sono varie fasi. La prima è visiva e di analisi utilizzando anche i raggi ultravioletti, la luce diretta o quella radente. A seguire si fanno dei test sulla polarità delle vernici e poi si analizzano le parti critiche della pellicola pittorica come possono essere zone con la vernice ossidata o oggetto di precedenti interventi.
Ora su cosa state lavorando?
Abbiamo finito da poco il restauro delle tavole del pittore Dosso Dossi che a luglio saranno esposte in una mostra, mentre stiamo ancora lavorando ai restauri nella chiesa di San Leonardo a Tesero. Le tavole erano ad ornamento delle sale della Libreria Queriniana ed hanno oltre 500 anni. Le abbiamo smontate e poi restaurate.
Delicatissime tutte le fasi del restauro.
Come dicevo ci vuole sensibilità e rispetto perché prima di tutto si deve cercare di conoscere il più possibile l’opera sulla quale si deve intervenire con la consapevolezza della sua tutela per poter essere tramandata ai posteri. Oggi si restaura anche quanto è stato fatto nel passato, ma dobbiamo farlo in modo che non sia in forma definitiva: dobbiamo sempre lasciare la possibilità di un futuro intervento.
Cosa s’intende per restauro conservativo?
Che si punta esclusivamente alla conservazione dell’opera intervenendo solo sull’esistente e lasciandola anche incompleta. Un restauro parziale che puoi fare con l’ente pubblico, ma che non piace ai privati. Però è una scelta necessaria quando la parte nuova sarebbe troppo invasiva nei confronti di quella più datata.
I completamenti come vengono fatti?
Prima di tutto si pulisce la superficie il meglio possibile e poi si utilizzano acquerelli oppure colori reversibili, ma sempre con accortezza.
Quale?
La parte nuova dev’essere sempre distinguibile, questo per non trarre in inganno chi andrà a fare futuri interventi di restauro.
Attualmente al Laboratorio di Enrica Vinante collaborano 5 restauratrici ed un restauratore a conferma di come la preferenza sia sbilanciata tutta verso la collaborazione femminile, una bella realtà.
Ci siamo strutturate in un nodo che direi possa essere ottimale. Spesso si lavora su più cantieri e per chi si opera di restauri di Beni sotto tutela la ditta individuale è difficile da sostenere.
Il futuro come lo vede?
Sinceramente direi uguale al presente e molto simile al passato. Mi spiego. L’attività va bene e lavorando in Trentino si fanno talmente tanti chilometri che è impensabile andare fuori regione. Ecco potremmo ampliare maggiormente la clientela privata. Ma più che progetti sono idee da vedersi come correttivi dell’assetto attuale al quale non manca nulla.
Quale sarebbe l’opera che sogna di restaurare?
Mi affascinano tutte anche perché non si può parlare di un’unica modalità di intervento e quindi tutte sono diversamente interessanti. Però completare i lavori di restauro dei soffitti di Palazzo Lodron, quello si che mi piacerebbe. Anche perché penso che sia un palazzo ricco di opere nascoste negli anni e tutto da scoprire.
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