La lezione di Ghedina, Cagnotto e Pomilio 

A Campestrin i campioni di sci, tuffi e pallanuoto hanno parlato di atleti, allenatori e genitori



CAMPESTRIN . Tre icone dello sport a raccontare il rapporto fra atleti, allenatori, genitori e territorio. È stata questa la trama del convegno “Un solo cuore che batte – N soul cher che bat” organizzato al Paladolomites di Campestrin dall’Unione di Ladins de Fascia, dal Comitato Mondiali Val di Fassa 2019, dall’Università di Trento e dal Panathlon Club Trento, con il giornalista Rai Stefano Bizzotto nelle vesti di moderatore. Gli ex campioni dello sci, Kristian Ghedina, di tuffi, Giorgio Cagnotto, e di pallanuoto Amedeo Pomilio, hanno raccontato la propria relazione con i genitori nel periodo in cui erano giovani sportivi.

Kristian, che ha perso la madre, aveva un padre contrario alla sua scelta di dedicarsi all'attività agonistica. Giorgio, invece, è stato influenzato nel proprio percorso dallo zio ex atleta, mentre Amedeo ha dovuto fare i conti con la figura ingombrante del padre, che aveva un ruolo importante nel mondo della pallanuoto.

L’ex discesista Ghedina non ha mancato di ricordare la propria unica e indimenticabile esperienza ai Mondiali Junior. «Era il 1987 e nella località norvegese di Hemsedal arrivai con importanti aspettative – ha raccontato – Detenevo il miglior tempo fino all’ultimo intermedio, poi commisi un errore che mi fece perdere centesimi preziosi e chiusi sesto. Un risultato che mi innervosì parecchio, perché venni battuto dal compagno di squadra Roger Pramotton, che fu quarto. Superato da un gigantista. “Iniziamo bene la carriera” pensai fra me e me».

Amedeo Pomilio ha evidenziato come in Italia ci sia troppa fretta di arrivare. «Mentalmente, fino a 15-16 anni, i ragazzi non sono pronti per reggere le pressioni imposte da un agonismo esasperato e si rischia di ottenere il risultato contrario – ha spiegato – I genitori e talvolta gli allenatori, per interessi personali, non riescono a essere equilibrati. Fino a questa età bisogna puntare sull’attività sportiva con l’obiettivo di una crescita costante e l’imperativo del divertimento».

Giorgio Cagnotto si è soffermato sul ruolo dell’allenatore-educatore. «Il tuffatore Maicol Verzotto spesso mi ricorda come passi più tempo con me che con suo padre – ha detto Cagnotto – In quest’ottica l’allenatore ha un ruolo strategico nella crescita di un ragazzo e proprio il tecnico può riuscire a persuaderlo a fare cose che un genitore non riuscirebbe mai ad imporgli. Un padre o una madre dovrebbero diventare complici dell’allenatore per il bene del giovane atleta, invece troppo spesso ambiscono a sostituirsi al coach, creando pressioni inutili e controproducenti». Anche Kristian Ghedina ha portato la propria testimonianza. «Percepisco spesso la voglia di rivincita di genitori che non sono riusciti ad affermarsi nello sport sui figli – ha spiegato – Non è facile, ma padre e madre devono rimanere al proprio posto».

Interessante anche il contributo del professor Paolo Bouquet, prorettore con delega per lo sport dell’Università di Trento, che ha parlato anche del Progetto Dual Career Top Sport, primo ed unico in Italia rivolto ai migliori atleti per consentire di studiare e conseguire una laurea. Un programma ideato nel 2011 con la collaborazione di Filippo Bazzanella, project manager dei Mondiali Junior Val di Fassa 2019, e attivato con l'aiuto della campionessa olimpica Antonella Bellutti. «Chi pratica sport ad un certo livello molto spesso ha una marcia in più nella vita – ha commentato Bouquet – Aiuta ad aumentare l’autostima, la capacità di confronto, di relazionarsi e di organizzarsi».













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