Dopo i Mondiali

Atletica, sostiene Bragagna: «Non vedo un altro Bolt. L’Italia? Mai così in basso»

Il telecronista bolzanino: «Le critiche sui social per le mie pronunce? Fanno parte del gioco. Ho qualche nemico per quello che ho detto su Schwazer»


Maurizio Di Giangiacomo


BOLZANO. Da venticinque anni, è la “voce” dell’atletica leggera. Reduce da un’autenica “maratona oratoria” sui canali della Rai, al collega Franco Bragagna abbiamo chiesto un giudizio sui Mondiali di Londra 2017: dalla caduta di Bolt al flop degli azzurri, fino a quel suo modo autorevole (ma anche un po’ dotto, un po’ divisivo) di condurre le telecronache. Come al solito, non abbiamo ricevuto risposte banali.

L’atletica esce dai Mondiali di Londra orfana di Usain Bolt. Tu ne vedi un altro all’orizzonte?

No, non ce ne sono. Più di qualcuno lo aveva individuato in Van Niekerk, ma non ha la personalità, non buca il video. È un bel fenomeno, ha fatto bene nei 400, ma non nei 200.

Cos’hai pensato quando hai visto Bolt a terra, nella staffetta?

Era un momento già malinconico di per sé, almeno per me, che ho seguito tutta la sua carriera. È un Dio dell’atletica, mi è sembrato quasi inverosimile vederlo a terra in quel modo, peraltro dopo aver perso la finale dei 100, vinta dall’uomo che aveva accusato più volte per i suoi precedenti per doping. Ma tutti questi Mondiali hanno avuto una sceneggiatura al contrario: dall’episodio di Makwala alla mancata doppietta di Mo Farah che giocava in casa, fino alle keniane sconfitte dalle americane. In un paio di giornate hanno sicuramente influito negativamente la temperatura e l’acqua a catinelle, ma questa caduta degli dei generalizzata mi fa pensare che l’antidoping stia davvero cominciando a pesare.

Il momento più alto?

Faccio fatica ad individuarne uno. Il livello è stato sicuramente molto alto, ma senza picchi. Il momento più imbarazzante è stato sicuramente vedere Makwala correre la batteria dei 200 metri da solo. Forse la cosa più bella è stata quello stadio praticamente sempre pieno, cosa che per gli addetti ai lavoro si è tradotta però in un sacco di disagi, anche perché non erano stati previsti mezzi di trasporto dalla stadio alla metropolitana: se qualcuno avesse voluto importare il terrore, avremmo corso davvero dei grossi rischi. Ma sono stati venduti 770 mila biglietti, complessivamente un milione di persone hanno assistito ai Mondiali di atletica.

Quello dell’Italia è stato un vero flop?

Certo, mai così in basso. Abbiamo vinto una medaglia con la Palmisano, che avrebbe meritato quella d’oro, perché lei marciava divinamente e le altre correvano. Una medaglia che potrebbe indorare la pillola per l’atletica italiana, ma che in realtà non la indora per niente, perché siamo stati impalpabili, assenti: non siamo stati in grado nemmeno di competere ai nostri livelli.

Ci è mancato Schwazer?

No, lasciamo perdere Schwazer. Gatlin, che è stato squalificato per un periodo inferiore a quello di Alex, è stato strafischiato, non credo che lo stadio di Londra avrebbe riservato un trattamento diverso a Schwazer.

Quindi, non credi a quello che sostiene il suo staff in relazione alla seconda positività?

Dovrebbero portare le prove. In attesa dell’esito dell’esame del dna, dietro al quale si sta combattendo una lotta tra fazioni e anche uno scontro tra magistrature, c’è la sentenza del Tas, che sostiene che non c’è stato complotto e non c’è stata manipolazione. Anche un loro perito ha detto che la sentenza del Tas è ragionevole. E lo stesso Sandro Donati ha ammesso che non sono riusciti a portare le prove del complotto e della manipolazione.

Tornando al flop azzurro, in diretta hai affrontato con grande durezza il presidente della Fidal, Alfio Giomi. Quali sono le sue responsabilità?

Intanto diciamo che risollevare l’atletica italiana è difficilissimo e Giomi non c’entra. Il problema è che ogni tanto troviamo un campione, nel caso di Tamberi un super-campione, e questo regolarmente s’infortuna, specie a ridosso dei grandi appuntamenti. E questo succede quando con l’allenamento ci si spinge oltre. Giomi ha commesso i suoi errori individuando un direttore tecnico nella persona di Stefano Baldini e poi ripiegando su un una bravissima persona, ma un uomo del passato, come Elio Locatelli. Dopo un quadriennio come quello che avevamo archiviato a Rio, non puoi fare una scelta del genere. Ma è l’intera atletica italiana ad uscire sconfitta quando, come alternativa a Giomi, sa proporre solo Stefano Mei.

I Mondiali di Londra sono stati un flop anche a livello regionale: nessuno dei nostri atleti si era nemmeno qualificato per Londra.

Giordano Benedetti è stato il primo degli esclusi, Yeman Crippa il secondo, Hannes Kirchler il sesto o il settimo e abbiamo patito anche infortuni come quello di Silvano Chesani. Ma l’eccezione erano i sei, sette qualificati delle precedenti edizioni, non questa. Tutto sommato l’atletica regionale funziona.

Io ho scritto su Facebook che i Mondiali di atletica iniziano quando dici “Gotenburgo”. Ma le tue pronunce, sui social, scatenano decine e decine di haters.

Quello fa parte del gioco. Detto che io sui social non ci sono, per scelta, so che dopo aver detto certe cose su Schwazer mi sono fatto qualche nemico. Per il mio modo di pormi non passo certo inosservato: non cerco scorciatoie. Ma ho anche una discreta massa di fans.

Twitter: @mauridigiangiac

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