sui banchi

Dress code a scuola? Dai presidi agli studenti, in Trentino è un coro di no ai divieti: «Sbagliato imporre»

Il caso di Brunico e il “no alla pancia scoperta” risolleva il tema. Pendenza: «Circolari controproducenti». Ferraro (Rete studenti): «Un adolescente si esprime anche con l’abbigliamento»


Fabio Peterlongo


TRENTO. La preside invita le studentesse a coprirsi la pancia e scatta la protesta: è successo al Liceo di Scienze sociali di Brunico, dove la dirigente ha preso carta e penna e in una circolare ha invitato le allieve ad indossare un abbigliamento adeguato al dress-code scolastico, evitando indumenti che lascino scoperta la pancia. Nemmeno a dirlo, le studentesse hanno risposto presentandosi in classe precisamente con l'abbigliamento "proibito", rivendicando la libertà di scegliere il loro vestiario. Interpellata, la dirigente ha ammesso che avrebbe dovuto ricorrere al dialogo e non allo strumento della circolare, percepita come "autoritaria" dalle studentesse.

E così l’opinione pubblica torna a dividersi sui temi del vestiario scolastico. Nell'annoso dibattito sul "che fare" in merito, si identificano sostanzialmente tre fazioni: i libertari del "liberi tutti", i "duri e puri" sostenitori dell'uniforme scolastica sul modello anglo-americano ed i "moderati" che identificano nel "dress-code" un'adeguata via di mezzo, rispettosa del decoro ma anche della libertà personale. Questo, senza dimenticare il tema del sessismo latente o esplicito che le studentesse subiscono nel momento in cui decidono di mostrare parti del loro corpo, libertà che è più facilmente accordata ai maschi.

Chi sostiene l'introduzione dell'uniforma scolastica ritiene che essa consentirebbe il rispetto del decoro dell’istituzione scolastica e contemporaneamente appiattirebbe le differenze di status economico tra gli studenti. Ma i critici dell’uniforme denunciano come l’imposizione di una divisa uguale per tutti non farebbe altro che nascondere o coprire le disuguaglianze, senza risolvere il problema ma spostandolo solo fuori dall’ambito scolastico.

Ma cosa dice la legge? Ci sono norme che regolano la materia? In realtà, almeno sul fronte delle norme giuridiche, la situazione è chiara: non esiste in Italia una norma univoca che indichi quale abbigliamento è consono al contesto scolastico e ogni scelta più o meno restrittiva è lasciata alla singola scuola, che può indicare dei “codici di abbigliamento” a cui docenti e studenti devono attenersi. Questo, senza escludere persino un’uniforme uguale per tutti: se davvero la singola scuola lo volesse, potrebbe legittimamente procedere verso l’introduzione di una divisa obbligatoria.

Ma detto questo, sarebbe opportuno? Chi ha ragione tra i fautori dell’uniforme e i difensori della libertà d’espressione? Abbiamo sentito a riguardo il presidente dell’Associazione Presidi Paolo Pendenza, il presidente della Consulta Provinciale Genitori Maurizio Freschi e la portavoce della Rete degli Studenti medi del Trentino Estefani Ferraro, dai quali è arrivato un coro di “no” alle imposizioni e un invito al dialogo: «Imporre regole che si percepiscono come violazioni della libertà personale non serve, occorre educazione ed ascolto».

Il presidente dell’Associazione Presidi Paolo Pendenza si dice contrario all’introduzione dell’uniforme scolastica e propende piuttosto per un’educazione al decoro ispirata al principio della libertà individuale: «A scuola è opportuno il decoro nel vestiario, ma con gli studenti bisogna ragionare, non procedere per imposizioni», riflette Pendenza, che si dice “insofferente” verso gli atteggiamenti moralistici: «Non concordo con atteggiamenti di rimprovero verso i ragazzi e le ragazze che decidono di indossare dei vestiti che lasciano scoperta una parte del corpo, magari la pancia o portando minigonne... E non sopporto l’atteggiamento di chi dice: “Ah, i giovani d’oggi... dove andremo a finire”. I ragazzi sono molto più ragionevoli di quello che si crede. Quello che conta è stabilire con loro una relazione, riuscendo a farsi ascoltare e rispettare. Anche perché lo studente o ti stima e ti ascolta o per reazione scatta la ribellione». Per il preside Pendenza il tema non è dunque quello della divisa, ma di come costruire una scuola capace di creare relazione: «Vorrei una scuola in cui gli studenti vengano al primo posto, dove gli studenti vengano ascoltati perché ritenuti adulti significativi». In merito alla vicenda di Brunico, Pendenza conferma che imporre una linea attraverso lo strumento freddo della circolare possa essere controproducente: «Mandare una lettera implica una comunicazione a senso unico. È opportuno parlare con gli studenti in modo da capire insieme qual è il significato e l'importanza che per loro ha un determinato vestiario».

Anche il presidente della Consulta Genitori Maurizio Freschi è su una simile impostazione, giudicando la divisa scolastica come “anacronistica”: «In Italia l’imposizione dell’uniforme rimanderebbe automaticamente a periodi foschi della nostra storia», riflette Freschi, «In altri paesi c’è una mentalità diversa. Si pensi ai college statunitensi, dove gli studenti sfoggiano volentieri abiti dei colori del loro istituto». Freschi riconosce al contempo la necessità di far valere alcune regole di vestiario: «Servono regole che non siano inutilmente vessatorie o imposte, ma occorre preparare i ragazzi al fatto che sui posti di lavoro spesso sono richiesti specifici codici di abbigliamento, perché ogni luogo ha le sue regole, anche la scuola non ne è esente». Insomma, per Freschi è centrale l’educazione: «È difficile stabilire un confine tra ciò che è appropriato e ciò che non lo è. Serve dialogo ed è opportuno evitare il ricorso alle circolari: non permettono di cogliere le sfumature del discorso e si prestano ai malintesi».

La studentessa superiore Estefani Ferraro, portavoce della Rete degli Studenti medi, conferma il suo no ad ogni ipotesi di divisa scolastica, che contesta sul piano culturale: «Innanzitutto non è imponendo una divisa che si insegna al rispetto verso il corpo delle donne», riflette Ferraro, «Inoltre non dimentichiamo che l'uniforme scolastica ha spesso un costo significativo». E qui la rappresentante degli studenti effettivamente coglie un punto: in Giappone, paese per eccellenza delle divise scolastiche, gli studenti con maggiori difficoltà economiche devono ricorrere a uniformi di seconda o terza mano, finendo per indossare abiti lisi che mettono in risalto la loro condizione. E tanti saluti alla divisa come strumento d'eguaglianza.

Ferraro mette l'accento sull'esigenza degli adolescenti di trovare da sé il proprio stile: «Per un adolescente è importante esprimersi liberamente attraverso il vestiario. È un modo che abbiamo per dire chi siamo e come ci percepiamo rispetto agli altri. Insomma, i vestiti che scegliamo di indossare sono un modo per presentarci ed affermare la nostra identità. È qualcosa che bisogna poter fare liberamente, soprattutto alla nostra età».













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