Il governo Draghi al capolinea: i 5stelle non votano la fiducia, Lega e Forza Italia si sfilano
Al termine di una giornata drammatica per la storia politica italiana il premier cerca di ricompattare i partiti della sua maggioranza ma salta tutto. Ora si attendono le decisioni del presidente Mattarella
ROMA. Il governo di Mario Draghi e l’attuale maggioranza che lo sosteneva è al capolinea. In una drammatica giornata per la politica italiana, il Movimento 5stelle si astiene nella votazione alla fiducia e Forza Italia e Lega si ricompattano con Fratelli d’Italia e decidono di non votare.
Per Mario Draghi, nel frattempo tornato a Palazzo Chigi, sono le ultime ore alla guida del governo.
Cosa succederà ora è nelle mani del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma i partiti dopo essersi rimpallati le responsabilità sono di fatto in campagna elettorale.
È stata una giornata difficile e di infiniti contatti, scivolata verso la crisi alle cinque del pomeriggio, quando il premier Mario Draghi - che al Senato ha reso “comunicazioni fiduciarie” chiedendo alle forze politiche di ricostruire il patto di unità nazionale alla base del suo mandato - pone la fiducia su una risoluzione di Pier Ferdinando Casini dal testo stringato: «Il Senato, udite le comunicazioni del presidente del Consiglio dei ministri, le approva».
Il centrodestra dice no, esprimendo così ostilità e delusione per i toni duri che il premier ha usato al mattino verso la Lega, che di risoluzione ne presenta una contrapposta: il M5s sia messo fuori dal perimetro della maggioranza con un nuovo governo e un nuovo programma.
Ma, nonostante il pressing del Pd per tenere uniti i pezzi del governo, senza la maggioranza ampia che ancora stamattina Draghi invocava, il premier non potrà fare altro che salire al Quirinale e dimettersi.
«In questo giorno di follia il Parlamento decide di mettersi contro l'Italia. Noi abbiamo messo tutto l'impegno possibile per evitarlo e sostenere il governo Draghi. Gli italiani dimostreranno nelle urne di essere più saggi dei loro rappresentanti», scrive su Twitter il leader del Pd Enrico Letta, l’unico partito tra quelli grandi ad aver sostenuto senza se e senza ma il premier.
Termina così dopo 522 giorni l'esperienza di Mario Draghi al Governo. Quasi un anno e mezzo in cui - con una maggioranza amplissima ma assai litigiosa - ha gestito le tante emergenze del Paese, oggi ricordate dallo stesso premier in Senato. Un esecutivo nato dopo la crisi del secondo governo Conte che aveva come obiettivo principale quello della gestione delle tre emergenze italiane: pandemica, economica, sociale.
Nacque così «un governo - disse all'epoca il capo dello Stato Sergio Mattarella - di alto profilo» che non doveva «identificarsi con alcuna formula politica». Un Governo che doveva fare fronte «con tempestività alle gravi emergenze non rinviabili».
Tutti i principali partiti - con una sola eccezione, Fdi - decisero di rispondere positivamente a quell'appello e il 13 febbraio dello scorso anno, dieci giorni dopo aver ricevuto l'incarico accettato con riserva, Draghi e i suoi ministri prestarono giuramento al Quirinale. Il 17 febbraio il governo ottenne la fiducia al Senato con 262 voti favorevoli, 40 contrari e 2 astenuti, il giorno successivo anche quella dalla Camera con 535 voti favorevoli, 56 contrari e 5 astenuti. Numeri che rappresentano ancora oggi una delle maggioranze più ampie mai registrate nella storia della Repubblica.
Da subito Draghi indicò la strada che si era prefissato di percorrere legando a doppio filo l'Italia all'Europa («senza l'Italia non c'è l'Europa, ma, fuori dall'Europa c'è meno Italia», disse). Certo il compito si mostrò impegnativo - su tutto il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Pnrr, ma anche campagna di vaccinazione, ripresa economica e transizione ecologica - e l'orizzonte temporale, interrottosi oggi, comunque breve.
E breve è stata anche la sua “corsa” al Quirinale. Visto come candidato naturale per la successione di Mattarella, Draghi ha dovuto ricorrere a tutto il suo aplomb per smentire con cortesia ma fermezza le voci che lo volevano per i prossimi sette anni al Colle.
Molto attivo sulla scena internazionale, Draghi si trova a dover affrontare una guerra ai confini dell'Europa che ancora oggi - nonostante fosse uno dei punti di attrito con parte della sua maggioranza - rivendica come necessaria, come necessarie sono le armi da inviare agli ucraini.
Ma Draghi - che non ha risparmiato critiche durissime nei confronti di Putin - verrà anche ricordato per la dura presa di posizione contro il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, definito «un dittatore di cui si ha bisogno», per stigmatizzare la scortesia verso la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen lasciata senza sedia ad un incontro ufficiale.
Ma gli scontri più aspri - emersi in tutta la loro chiarezza nel dibattito di oggi - sono stati con la sua maggioranza. Soprattutto con i 5 stelle - che hanno scatenato la crisi di Governo - con i quali proprio sulle armi in Ucraina, sul superbonus, sul reddito di cittadinanza, sui rigassificatori e il termovalorizzatore di Roma, si è prodotta una frattura insanabile.