economia

Per il pranzo di Pasqua è boom di richieste di capretti trentini

Gli allevatori della provincia fanno fatica a soddisfare le domande: «Le macellerie chiedono ma ormai quasi tutte le aziende sono rimaste senza. Fare una programmazione sarebbe importante ma è molto difficile»


Carlo Bridi


TRENTO. I trentini consumano la carne di capretto solo a Pasqua, per questo gli allevatori di capre devono programmare i parti in modo di favorire il parto delle capre 50-60 giorni prima di Pasqua. «Solo in questo modo possono immaginare di vendere il capretto fra i 7,5 kg e gli 8 kg (pulito) nei 10 giorni prima di questo evento religioso – dichiara Nicoletta Delladio, allevatrice di capre di Tesero e presidente della sezione allevatori caprini aderente alla Federazione Provinciale degli Allevatori –. Il prezzo dal giorno di Pasquetta in poi cala subito del 15-20% rendendolo assolutamente sotto i costi di produzione».

Anche il direttore della Federazione, Massimo Gentili, ci conferma questa tendenza: «Il nostro spaccio carni presso la sede della Federazione ha registrato una forte richiesta di capretti la scorsa settimana, e ora siamo nel massimo della richiesta. Ma fra tre giorni questa si esaurirà secondo tradizione». «Certo – precisa la presidente – i nostri capretti sono molto richiesti perché sono di qualità superiore, ma l’azienda non può pensare di fare bilancio con i ricavi dei capretti. Se tutto va bene da un capretto di 7,5-8 kg si possono incassare circa 52 euro, ma vi sono 20 euro di spesa per l’acquisto del latte in polvere, 18 euro per la macellazione». Tolte queste spese vive rimangono all’allevatore fra i 12 e i 14 euro a capo.

Ma la cosa più triste, aggiunge un altro allevatore della Valle di Ledro, che preferisce rimanere anonimo, «è che in 10 anni i costi di produzione sono pressoche raddoppiati mentre i prezzi di vendita del capretto è rimasto praticamente stabile. La concorrenza viene dalla Romania che gli importa a prezzi stracciati».  «Facciamo un ottimo lavoro con il Gruppo Poli – aggiunge Gentili –  al quale va dato atto di valorizzare molto bene i nostri prodotti trentini, dalle carni di tutti i tipi alle uova». «Certo, è difficile programmare bene le vendite – afferma la presidente – piuttosto di rischiare di dover svendere i capretti dopo Pasqua al 20% in meno vendiamo a Poli pur sapendo che se potessimo venderli tutti direttamente alle macellerie potremo realizzare mezzo euro in più al kg. Quest’anno, ad esempio, da un paio di giorni le macellerie hanno iniziato una forte richiesta di capretti trentini ma ormai non solo la mia azienda, che conduco assieme a mio figlio, ma anche le altre aziende della valle sono ormai senza. Fare una programmazione sarebbe molto importante ma è anche molto difficile». «Per questo – aggiunge Stancher, responsabile commerciale della Federallevatori – ci siamo buttati sull’agnello ed abbiamo macellato diverse decine di agnelli. Ma va registrata una cosa: causa Covid non si va al ristorante ma non si vuole rinunciare al capretto, per cui la richiesta dalle famiglie è molto aumentata».

Mediamente fatti salvi quelli che vengono collocati direttamente alle macellerie o al consumatore finale, sul mercato non rimangono più di 6-700 capretti degli allevatori trentini, dei quali poco più di 400 vengono venduti dalla Federallevatori. Per questo si sta pensando a una filiera di confezionamento per valorizzare con proprio marchio il capretto trentino.













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