«Il cambiamento c’è già e dobbiamo governarlo» 

Tito Boeri, responsabile scientifico del Festival non ché presidente Inps: «Il lavoro di certo non finisce, ma il futuro è complesso: bisogna organizzarsi»


di Danilo Fenner


TRENTO. Sono passati più di vent'anni da quando, nel 1995, Jeremy Rifkin in suo famoso saggio ripropose la tesi della “Fine del lavoro”. Ripropose, perchè l'argomento non era certo nuovo nella storia del mondo occidentale degli ultimi due secoli. Già nel corso della prima rivoluzione industriale, agli inizi dell'Ottocento, i luddisti inscenavano la loro protesta contro il “progresso tecnologico” sfasciando i primi rudimentali macchinari. Si trattava di telai meccanici o di altri semplici strumenti, mica i robot o gli automi dotat di pseudo-coscienza del Terzo Millennio. Ma la paura era sempre la stessa: che la tecnologia finisse per sostituirsi all'uomo, rubando lavori, stipendi e – in definitiva – futuro.

Rifkin ridiede fiato a quelle ansie collettive in un periodo storico, la metà degli anni Novanta, segnato da forti contraddizioni. Da una parte, alcune aree del mondo venivano colpite duramente da crisi finanziarie (L'Italia nei primi anni del decennio, il Messico nel '94, il Sud est asiatico e la Russia dal '97 in poi). Dall'altra, la caduta del Muro di Berlino pochi anni prima e la grande costruzione di un'Europa unita fornivano materiale per visioni future positive. Ma le paure covavano dietro i numeri della disoccupazione, dietro l'insorgere di strumenti del tutto nuovo (vedi Internet) i cui sviluppi futuri all'epoca erano ancora poco prevedibili. Rifkin fece breccia in tutto questo e per un po' quel saggio fornì materia per il catastrofismo.

Tutto questo entra nel Festival dell'Economia di quest'anno come una corrente impetuosa che dal passato transita per l'oggi.

Come si è arrivati a percepire che questo poteva essere il tema giusto per l'edizione 2018? Lo chiediamo al responsabile scientifico del Festival dell'economia, nonché presidente del'Inps, Tito Boeri.

“Pensiamo che sia un tema molto rilevante, già presente nelle passate edizioni ma mai approfondito con tanto dettaglio. Quando ci sono importanti cambiamenti tecnologici, c'è sempre la paura che possano provocare la distruzione di posti di lavoro. Chiaramente, vista la situazione ancora difficile del mercato del lavoro in Italia, c'è molta attenzione su questi temi. Va anche detto però che il passato sembra dirci che molte di queste preccupazioni non sono fondate. Alla prova dei fatti, la fine del lavoro che molti hanno predetto non si è mai manifestata, nemmeno in periodi di forte innovazione tecnologica. Però i cambiamenti che stanno intervenendo oggi sono davvero notevoli e modificano anche il profilo del rapporto fra tecnologia e lavoro. Le macchine possono replicare lavorazioni complesse, lavoro qualificato e questo oggi può interessare settori e competenze che in passato erano stati risparmiati dalla sostituzione con le macchine”.

Tutto questo va governato: i grandi cambiamenti presuppongono un cambio di passo, un diverso approccio nelle politiche sociali, nella costruzione di un nuove welfare.

“Assolutamente, è molto importante. Se guardiamo al passato, come dicevo, non abbiamo molti elementi per spaventarci troppo. Però in questa fase storica ci sono indubbiamente dei cambiamenti senza precedenti. Rischiamo di avere “perdenti” non solo temporanei, quelli legati a un ciclo economico, ma “perdenti” cronici, persone che rimangono sistematicamente al di fuori del mercato del lavoro. L'intelligenza artificiale rappresenta un salto di qualità importante. Oggi abbiamo macchine che possono imparare dal comportamento degli umani e costruire da sole le proprie regole. Tutto questo consente di sostituire con le macchine mansioni relativamente complesse, in campi e settori nei quali in passato la sostituzione del lavoro umano era impensabile. Questo creerà problemi distributivi molto importanti. Se chi possiede e gestisce questi robot sono le persone che svolgono questi lavori, allora queste tecnologie liberano tempo e le persone possono diventare più produttive, concentrandosi su altre mansioni. Si possono fare più cose e meglio. Se però i robot e le macchine sono posseduti da altri, e questi altri sono poche persone, ecco che la questione diventa molto più rischiosa. Il problema è come gestire la sostituzione delle mansioni complesse. Questa è la grande sfida che abbiamo di fronte. Il problema si pone soprattutto per quelle tipologie di lavoro, come quelli su piattaforme tecnologiche, che hanno tutte le caratteristiche del lavoro dipendente ma che di fatto sono organizzate come un lavoro autonomo. Questo crea molti problemi, perchè oggi il lavoro autonomo non gode delle stesse protezioni del lavoro dipendente, e per buone ragioni peraltro”.

Tredici edizioni del Festival: che bilancio si può tracciare, dal 2006 ad oggi? Per il futuro ravvisa la necessità di qualche correttivo alla formula Festival?

“Il Festival di Trento è stata un'ottima occasione per introdurre nel confronto pubblico temi di discussione importanti che prima non c'erano. Quindi il bilancio è sicuramente positivo. Quanto alla formula, tutti gli anni introduciamo correttivi. Ad ogni edizione cerchiamo di rinnovare, oltre il parterre degli ospiti che invitiamo, anche i nostri format. La formula generale del festival finora è sempre andata bene”.













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