Infortunio in azienda e danni permanenti: dirigente a processo 

Nel 2014 un dipendente aveva riportato lesioni a una mano I testi: «Macchinari modificati per eludere le sicurezze»



ROVERETO . Il teatro del grave infortunio fu lo stabilimento Texbond. Era il 14 giugno 2014 e un’operaio stava lavorando attorno a una macchina ribobinatrice che stava terminando il rullo di tessuto. L’uomo era però rimasto con una mano tra un lembo di stoffa e il rullo, che con la rotazione gli provocarono un terribile schiacciamento. Per risistemare la mano servirono oltre un anno e mezzo, ma al rientro al lavoro il dipendente aveva anche perduto la piena funzionalità di un dito, tanto che gli venne riconosciuta una invalidità permanente dell’8% a seguito dell’incidente. In linea teorica, era un infortunio impossibile, stanti i macchinari e le procedure seguite in azienda. A processo è finito Gianluca Mura, un dirigente dell’azienda. Ieri in aula l’ex responsabile della sicurezza di Texbond ha garantito che in fabbrica la sensibilità per la prevenzione degli infortuni era massima e venivano impiegate tecnologie e procedure d’avanguardia., Quella ribobinatrice, ad esempio, non poteva essere avvicinata mentre era in funzione perché era conservata in una cella con la porta bloccata. L’accesso si sbloccava solo al termine della sbobinatura, cioè quando della bobina rimaneva solo l’anima. Messa così, parrebbe che l’infortunio sia dovuto a una mera imprudenza dell’operaio, tesi corroborata dai rilievi degli ispettori del lavoro, che qualche giorno dopo fecero un sopralluogo alla Texbond, constatando che la macchina ribobinatrice funzionava come doveva, con tutte le sicure del caso. Altri dipendenti però - almeno tre, tuttora impiegati in azienda - sostengono che la macchina era stata ripristinata dopo l’infortunio, poiché la prassi in fabbrica, su indicazione dei capir reparto, era diversa dalle consegne ufficiali. Ai dipendenti veniva cioè chiesto, una volta che la stoffa era stata riavvolta su altre bobine più piccole, di tagliare i residui di tessuto con un coltello, a rullo in funzione. Per consentire questa manovra, i dispositivi di sicurezza venivano con qualche artificio scollegati, in modo che gli operai potessero recuperare questi residui di stoffa per avviarli a un percorso di rifusione e rigenerazione del tessuto, permettendo considerevoli risparmi. Ciò che è accaduto alla vittima dell’infortunio - sembravano confermare i testimoni che ieri sono sfilati davanti al giudice Fabio Peloso - starebbe in questa interpretazione dei fatti: l’operaio avrebbe obbedito agli ordini ricevuti dai superiori, trascurando il rischio che si assumeva con questa manovra. Il giudice Fabio Peloso, dopo aver ascoltato tutti i test, compresi quelli della difesa, ha rinviato l’udienza al 22 gennaio prossimo per la discussione finale e la sentenza.

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