il rapporto

Università, calo di iscritti: addio all’ascensore sociale

Lo studio Irvapp: l’origine familiare determinante per la prosecuzione degli studi. Avanti figli di dirigenti e professionisti, si fermano i figli di operai e impiegati


di Chiara Bert


TRENTO. L’università ha smesso di essere in Trentino un ascensore sociale. Lo dicono i dati del rapporto Fbk-Irvapp 2014 sulla situazione economica e sociale della nostra provincia. Un dato che contrasta con i risultati di eccellenza sul livello di competenza, matematica e linguistica, degli studenti trentini alle scuole superiori, dove i rapporti Pisa-Ocse e Invalsi li collocano stabilmente e sensibilmente sopra la media nazionale, secondi solo agli studenti dei Paesi asiatici. Si è visto, poi, che i tassi di abbandono scolastico precoce, prima di conseguire un titolo di studio (sopra la licenza media inferiore), sono bassi e pongono il Trentino tra le regioni più virtuose.

Il problema nasce quando si passa dalla scuola superiore all’università. Il primo dato riguarda il crollo delle iscrizioni all’università, che dal 2003 al 2012 sono calate di circa l’11%, dal 71% al 60%. Un declino spiegabile innanzitutto con la crisi economica, che ha spinto gli studenti e le loro famiglie ad disinvestire nell’istruzione universitaria, considerata meno redditizia dal punto di vista occupazionale e di reddito. Più facile cercare subito un lavoro, invece di scegliere altri anni di studio con un approdo lontano e incerto.

E qui arriva il secondo dato, quello che riguarda il blocco dell’ascensore sociale. Perché la contrazione dei ragazzi che decidono di proseguire gli studi universitari ha riguardato solo i figli della classe operaia e della classe media impiegatizia. La posizione sociale della famiglia diventa dunque cruciale per le scelte di istruzione: la crisi non ha avuto alcun effetto sulle immatricolazioni dei maturi discendenti da dirigenti e liberi professionisti mentre i figli di lavoratori autonomi e, ancor più, di impiegati e operai, hanno visto ridursi sensibilmente le loro chance di proseguire gli studi.

Il declino della domanda di istruzione universitaria - rilevano i ricercatori dell’Irvapp - non è senza conseguenze per il sistema economico-sociale del Trentino: esso delinea il rischio di una contrazione delle disponibilità di capitale umano, con il conseguente aggravamento dei problemi che riguardano la scarsa propensione all’innovazione del sistema economico provinciale, la ridotta produttività del lavoro e la bassa capacità da parte degli imprenditori trentini di cogliere le opportunità generate dagli interventi infrastrutturali della Pubblica amministrazione. Quanto pesi il livello di istruzione lo spiega un altro dato dello studio: le imprese che hanno avuto accesso alla banda larga hanno registrato una crescita del fatturato del 15% all'anno, un dato che sale fino al 25% se l'imprenditore è giovane e istruito, e si riduce invece ad un «effetto zero» se l'imprenditore è anziano e con un basso titolo di studio.

Ma al problema della ridotta disponibilità di capitale umano si affianca una questione di giustizia sociale. Che non si pone solo nella transizione dalla scuola secondaria superiore all’università, ma si evidenzia da prima. La scuola media trentina non sembra capace di compensare gli effetti sulla scelta della scuola superiore e di formazione professionale esercitati dalle origini familiari degli studenti: a parità di prestazioni scolastiche, i figli dei laureati si iscrivono ai licei mentre i figli di genitori con media o bassa istruzione i quali si indirizzano molto più spesso verso l’istruzione tecnica e la formazione professionale. La soluzione? Misure di orientamento scolastico e di diritto allo studio, è il suggerimento che arriva dal rapporto Irvapp.













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