Troppi part-time penalizzano la donna
In Trentino siamo al 40,2% contro il 6,7% degli uomini. La prorettrice Barbara Poggio: "Il tempo parziale involontario spiega il gap salariale e previdenziale tra generi"
TRENTO. «Il gap occupazionale fra uomo e donna c’è in Trentino, nel tempo si è andato riducendo, con un aumento del lavoro femminile, ma si tratta spesso di impieghi di scarsa qualità, con contratti precari oppure part-time».
Sono queste le considerazioni di Barbara Poggio, Prorettrice alle politiche di equità e diversità dell’Università degli Studi di Trento, in merito al divario di genere in ambito lavorativo.
«La pandemia, inoltre, ha colpito sopratutto il genere femminile e inciso sul tasso di disoccupazione, anche se è più basso rispetto alla media nazionale». Nel 2022, infatti, la disoccupazione femminile si è attestata al 10,2%, in Italia e al 5,9% in Trentino. È comunque un dato più basso rispetto a quello maschile, con il 7,4% a livello nazionale, mentre in Trentino è solo al 4,7% (dati Ispat). «Uno dei dati da tenere in considerazione è l’elevata occupazione a tempo parziale delle donne - continua Poggio - forma contrattuale che mette più in luce le differenze dei ruoli maschili e femminili nella società e nel mercato del lavoro. In Trentino, nel 2020, il lavoro part-time ha raggiunto il 40,2% per quanto riguarda l’occupazione femminile, contro appena il 6,7% degli uomini. In Italia l’incidenza è del 32,1% per le donne, dell’8,6% per gli uomini».
Il tempo parziale può rappresentare un vantaggio e una scelta di conciliazione per chi lavora, diverso è invece il caso di chi dichiara di svolgere un lavoro a tempo parziale in mancanza di occasioni di impiego a tempo pieno, il cosiddetto part-time involontario, che nel 2020 è pari al 17,8% tra le lavoratrici e al 3,7% tra i lavoratori in Trentino. A livello italiano questa situazione di svantaggio è più diffusa e riguarda il 19,6% delle donne occupate e il 6,4% degli uomini che lavorano (Report pari opportunità in Trentino 2022). Questa tipologia di contratto spiega poi il gap salariale e previdenziale molto elevato fra uomini e donne.
«La differenza di scelte lavorative si può però ricondurre anche ai percorsi scolastici – spiega la prorettrice - dove lo squilibrio fra maschi e femmine è elevato. Nello specifico, i percorsi STEM (corsi di studio di tipo scientifico) sono frequentati per la maggior parte da ragazzi, mentre il settore HSS (corsi di studio umanistici) da ragazze, studi che poi si traducono nella scelta del lavoro. Chi arriva da percorsi STEM, infatti, ha maggior facilità a trovare un impiego nel suo settore». I dati relativi all’Ateneo di Trento confermano che le laureate hanno minori opportunità di occupazione: a un anno dal conseguimento dal titolo, dopo la laurea Magistrale lavorano l’80,3% delle neo-laureate contro l’86,7% dei neo-laureati. Anche a distanza di cinque anni, il divario occupazionale di genere è ancora presente e dopo la laurea Magistrale lavora il 90,6% delle donne contro il 95,3% degli uomini (dati Unitrento). «Le imprese ricercano e assumono con contratti stabili prevalentemente figure professionali provenienti dall’area STEM – spiega Poggio - dove le studentesse sono meno presenti, mentre coloro che fuoriescono dall’area HSS, che sono in gran parte donne, si scontrano con l’eccesso di offerta». Ma le donne possono scegliere anche di mettersi in proprio. «Le imprese femminili, però – spiega la prorettrice – presentano un indice più basso in Trentino rispetto alla media nazionale». Secondo i dati Ispat, infatti, nel primo semestre 2021, risultano attive in Trentino 8.622 imprese con titolari donne, che costituiscono solo il 18,5% delle imprese attive registrate. L’opportunità di autoimpiego può realisticamente concretizzarsi in presenza di risorse finanziarie, conoscenza dei temi economici, propensione all’investimento, competenze digitali, aspetti in cui le donne appaiono molto in svantaggio rispetto agli uomini.
«Ci sono molte azioni che si possono compiere per migliorare la situazione, come pensare a percorsi di supporto al mercato del lavoro o partire dai percorsi formativi, cercando di rendere più appetibili le donne che accedono al mercato del lavoro, facendo leva sulla cultura per scardinare il fatto che l’impegno familiare ricada solo sulla donna, che dovrebbe lasciare quindi il lavoro o accettare un impegno part time. Gli ambiti di intervento sono molti e su più fronti, partendo dalla consapevolezza delle donne e incentivando le aziende a stabilizzare i posti di lavoro, come avviene già per le aziende che si certificano family audit, ma la strada da compiere è ancora molto lunga per raggiungere la parità».