Trento, l'anatema dell’arcivescovo contro la violenza della guerra
Domenica delle Palme di nuovo in presena con un Duomo gremito di fedeli
TRENTO. Dopo due anni di assenza, è tornata in presenza con il Duomo gremito, la celebrazione della Domenica delle Palme. Il rito, con la mini processione dalla porta dei Leoni a nord della cattedrale all'ingresso principale su via Verdi, ha caratterizzato il lungo rito che è stato contrassegnato dalla accorata omelia di don Lauro, che ha parlato degli orrori della guerra e della indifferenza dell'uomo che nel secolo breve ha pensato solo a sé stesso. Di seguito il testo completo dell'omelia.
Parole come “fronte” o “trincea”, per noi relegate alle stanze di un museo o ai percorsi turistici sono diventate drammatiche immagini che incombono ogni sera sulle nostre tavole e riempiono i talk-show del dopo-cena. Ai virologi e alla conta delle vittime del Covid sono improvvisamente subentrati gli esperti di strategie militari e le mappe belliche.
Se in questi ultimi decenni abbiamo preso in considerazione i profughi era sempre in riferimento a qualcosa sì di drammatico ma comunque lontano da noi: gli sbarchi nel Mediterraneo, la rotta balcanica… Oggi sono in mezzo a noi ed hanno il volto impaurito soprattutto di tante donne, bambine e bambini dell’Ucraina.
Ancora una volta la Passione di Cristo continua nella vita violata e devastata di tanti innocenti, vittime dei potenti di turno. Come ci ricorda papa Francesco “i potenti decidono, i poveri muoiono”.
Quando, due mesi fa, è iniziata la guerra il risveglio è stato scioccante. E lo è sempre più man mano che ne emergono tutte le atrocità. Uno shock che va letto in profondità: dice di un mondo smemorato, vittima di interpretazioni surreali della realtà, raccontata in modo superficiale, ideologico ed emotivo.
A far da contraltare a questa gridata deformazione, c’è il silenzio e l’intensità dell’Uomo della croce. La forza delle sue parole, capaci di smascherare ipocrisie e giochi di potere, diventa rivelativa dell’inedito e sorprendente agire di Dio.
Prima di entrare nella profondità dello sguardo del Cristo che cambia il cuore di chi, come lui, è crocifisso è necessario prendere atto che in ognuno di noi ci sono i tratti del dittatore, i lineamenti del manipolatore. Riconosciamolo: spesso alimentiamo la nostra vita con sogni di potenza. La guerra è dentro di noi: non di rado siamo abitati dal conflitto con noi e con gli altri. E tutto questo accade perché si rischia di costruire la vita sull’idea che esistiamo nella misura in cui siamo in grado di piazzare zampate vincenti e di ingrandire il nostro ego a discapito degli altri. L’uomo della croce silenzia questa prospettiva per dire: l’altro è tuo fratello, senza di lui non esisti nemmeno tu.
Al mantra del “mi sono fatto da solo”, “nessuno mi comanda”, “mi gestisco io” va recapitata quest’altra verità: “se le cose stanno così, sei solitudine, tristezza, aggressività”. Ancora una volta, uscire dalla logica “egotica” non è infrangere una regola morale, è perdere la vita, respirare la morte, creare le premesse per predisporsi alla guerra e al conflitto.
Facendo eco alle parole del buon ladrone, come comunità credente ripetiamo: “Ricordati di noi, Uomo della croce. Regalaci le primizie di quel Regno dove servire è regnare, perdonare è vita, accogliere è inizio di futuro”. C.L.