«Telecamere molto utili ma la città va vissuta»
Secondo il coordinatore di «eCrime» Di Nicola la videosorveglianza è efficace soprattutto nelle attività di indagine su un reato, meno nella prevenzione
TRENTO. Le telecamere sono molto efficaci nell'attività investigativa, meno nella prevenzione dei reati. Tuttavia non sono l'unica soluzione: per combattere i furti oggi ci sono strumenti ieri trascurati, come l'uso e il ridisegno dello spazio urbano, concetto non a caso molto caro al sindaco Andreatta che lo sta applicando a piazza Dante e a piazza S.Maria. Lo spiega Andrea Di Nicola, coordinatore di eCrime e professore di criminologia all'Università di Trento.
La Provincia lavora a un sistema per mettere in rete le telecamere pubbliche e private. È la strada giusta?
La ricerca sulle telecamere ha dimostrato due cose: che funzionano molto bene per la ricerca della prova, dove si sono rivelate uno strumento molto potente. Dal punto di vista dell'ordine pubblico e della repressione quindi sono molto efficaci. Dal punto di vista della prevenzione, i risultati sono molto meno univoci: non è così forte la risposta della ricerca. Dipende da diversi fattori: da dove sono messe, da come sono monitorate, dal tipo di reati e dai luoghi: ad esempio, si è dimostrato che sono efficaci nei furti su auto e di auto nei parcheggi e nei furti su mezzi pubblici e nelle piazze. Non così efficaci invece nelle violenze e nelle lesioni, trattandosi di reati d'impeto. La loro efficacia inoltre dipende dalla capacità di management dello strumento, ossia mantenere efficiente l'apparecchio e saper analizzare il dato.
Infatti dalla questura c'è stato un richiamo ai privati a tenere accese le proprie telecamere, spesso spente. È un problema che esiste?
Certo, a volte la telecamera modifica il comportamento del criminale. Che, per fare un esempio banale, agisce indossando un cappuccio: alla fine il deterrente è legato alla paura di essere identificati. Quindi la telecamera può essere un valido supporto, ma non è la panacea di tutti i mali. Va usata come supporto, come una delle armi possibili ma non l'unica.
Il numero dei furti, secondo i dati della questura, è in calo, ma nei trentini c'è un crescente allarme sociale. Come si spiega questa discordanza?
L'abbiamo anche visto nel progetto eSecurity, basato su un software per la gestione della sicurezza urbana. Un software, a supporto del sindaco e del questore, che analizza i rischi e mappa graficamente le tendenze, aiutando a interpretare la sicurezza “oggettiva” e quella “soggettiva”, quindi le percezioni, che come dice lei non sempre vanno d'accordo con i numeri. L'Italia come numeri è tra i Paesi più sicuri, ma dove la cittadinanza crede di stare peggio. Questo si riverbera anche a livello locale: le cause dell'insicurezza sono da ricercare non solo nella criminalità. Tra queste ci sono la disgregazione sociale, la crisi economica, il disordine urbano. Pensiamo allo sbarco di immigrati, a chi grida all'invasione, agli stupri di Colonia: tutto quello che accade nel mondo è come se avvenisse sotto casa. Un tempo non era così: la velocità con cui si trasmette l'informazione amplifica la paura. Ma l'Italia resta un Paese relativamente sicuro.
Restando ai numeri, il Trentino rispetto ad altre realtà come si colloca?
Anche il Trentino è più “sicuro oggettivamente”: i tassi di criminalità sono più bassi rispetto alla media nazionale. Il dato sui furti lo conferma. Dico un'altra cosa, che non è facile trasmettere alla popolazione: l'entità del rubato si è ridotta molto: assistiamo sempre più spesso a reati bagatellari, non professionali. Questo ci deve far riflettere: sono i classici furti da disperazione, dovuti a marginalità sociale ma ad alta visibilità. È irrazionale pensare più a questi che alla corruzione e alla criminalità organizzata, che causano un danno strutturale al Paese. Con questo non dico che i criminologi debbano trascurare i piccoli furti. Ma essi sono spia di un disagio sociale da gestire non solo con le telecamere, ma lavorando con la prevenzione precoce tra i bambini e con il riassetto urbano. Certo, qui servono informazioni specifiche, che però noi abbiamo raccolto proprio grazie al progetto eSecurity, i cui risultati saranno resi noti a breve.
Qualche esempio di queste percezioni dissonanti?
Piazza Dante, dove i reati stanno diminuendo ma i trentini continuano a pensare che sia insicura. Per questo oggi bisogna intervenire sia con pattugliamenti senza che questi comportino la militarizzazione del territorio, sia incentivando politiche e iniziative di uso dello spazio. Far sì che la città sia realmente vissuta dai cittadini è una chiave di prevenzione enorme: incentivare l'uso e la difesa dello spazio che senti tuo. Questo si realizza anche attraverso il ridisegno urbano. Tutto ciò influisce anche sulla sensazione di insicurezza: se c'è gente attorno a me che frequenta una zona e la difende ho meno paura.