«Superiamo l’autismo con lo sport, si può fare: mio figlio ne è la prova»
L’appello di Roberto Oberburger e della cooperativa Csa: «Aiutiamo le famiglie e le società sportive a mettere in gioco questi ragazzi Questa è una diagnosi che fa sempre molta paura ma Michele è un campioncino di trial e nemmeno i medici sanno spiegare perché»
Trento. «superiamo l’autismo con lo sport. si può fare. l’esperienza di mio figlio michele ne è la prova». parola di roberto oberburger, artigiano cinquantenne, che si è scontrato con questa parola - autismo - 13 anni fa, quando è giunta la diagnosi per il suo primogenito. proprio il ragazzo che, tra l’incredulità dei medici, quando sale sulla moto da trial getta il cuore oltre l’ostacolo con un sorriso e si toglie la soddisfazione di battere tanti altri ragazzi normali. una storia che vale la pena raccontare oggi, giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo, partendo però dalla fine, cioè dall’appello che la cooperativa csa (di cui oberburger è vice presidente) ha lanciato alle famiglie di questi ragazzi e alle società sportive.
Il progetto
Il progetto si chiama semplicemente “sport e tempo libero” ed è nato con l’obiettivo di avviare all’attività sportiva i ragazzi autistici: «Ogni famiglia saprà scegliere l’attività più adatta, dalla pallacanestro all’equitazione, ma lo sport può in ogni caso dare grande beneficio a questi ragazzi» spiega Oberburger, che l’altro giorno ne ha parlato in occasione di una serata organizzata a Maso Franch. «Penso sempre alla mia incredulità quando una “pazza” amica di famiglia con la passione per la moto, Deborah Albertini, ha detto: perché non proviamo a fare andare Michele in moto? Io ero contrario, avevo paura, ma ora posso dirlo: aveva ragione lei».
In sella col sorriso
È stato così che Michele Oberburger, un ragazzo di 15 anni che i medici considerano “autistico a medio funzionamento” ha sorpreso tutti riuscendo a governare frizione, cambio e freni per saltare in equilibrio sopra gli ostacoli del trial: «Abbiamo trovato una cosa che gli piace fare - racconta il padre - che lo fa sorridere e soprattutto gli dà autostima. Come faccia non sono in grado di dirlo nemmeno i medici, ma è la dimostrazione che l’autismo - pur senza cura - si può combattere. Da qui a giugno ogni fine settimana porterò mio figlio a gareggiare in varie località del nord Italia, per me - che non volevo farlo salire su quella moto - è la soddisfazione più grande che ci sia. Tanto che la “terapia dello sport” la vogliamo proporre anche ad altre famiglie. In Trentino ci sono 4 mila persone autistiche, ogni anno questo problema viene diagnosticato a 25-30 bambini, c’è tanto lavoro da fare».
Una diagnosi che fa paura
Sono passati quasi 15 anni da quando venne diagnosticato l’autismo a Michele, ma un “verdetto” di questo genere fa sempre paura: «La diagnosi precoce e le terapie per i bambini più piccoli consentono grandi miglioramenti, ma la domanda resta sempre quella: si può guarire? E anche la risposta, purtroppo, non cambia: no, non si può guarire. Sulla prima infanzia sono stati fatti tanti progressi, ma dopo che il bambino è stato seguito nel migliore dei modi fino alle scuole superiori va a finire che il suo posto è in un laboratorio per disabili. Ma questo - ve lo posso assicurare - non è il posto giusto per i nostri ragazzi. Almeno per molti di loro che non sono così gravi e potrebbero affrontare il mondo entrando in un bar e bevendo un caffè, come tutti».
I problemi sociali
Quando arriva la diagnosi di autismo la vita di una famiglia “finisce”. O meglio, viene rivoluzionata. Per spiegare perché Roberto Oberburger ricorre a un esempio semplicissimo: «Ha mai visto la famiglia di un bambino autistico in pizzeria?». Risposta: «No». E lui spiega: «E lo sa perché? Il fatto è che un ragazzo come Michele, che praticamente non parla, può fare due urla, la gente si gira, qualcuno protesta e alla fine ti vergogni. La disabilità si vede, la sindrome di down anche, l’autismo invece no: la gente non lo conosce, non lo capisce e tutto diventa più difficile. Ma se mio figlio è diventato un campioncino di trial, credetemi, vuol dire che anche l’autismo si può superare».