Semi e radici, così gli animali diventano «farmacisti» 

La zoofarmacognosia è la scienza sul loro rapporto con le erbe: pappagalli usano  l’argilla per digerire, i lemuri si strofinano con millepiedi velenosi contro i parassiti



TRENTO. La “zoofarmacognosia” parola complicata della quale non è immediata la spiegazione, raffigura invece un rapporto del tutto elementare. Deriva dal greco: zoon (animale), pharmakon (farmaco o veleno), gnosis (studio o conoscenza). Spiega il rapporto che gli animali hanno con le erbe e altri rimedi naturali che diventano un sistema di cura. In un certo modo “animali farmacisti” dai quali, ancora una volta, abbiamo molto da imparare.

Il più comune è il caso del cane che mangia l’erba per curarsi il mal di stomaco; i pappagalli in libertà cercano l’argilla per favorire la digestione; le lucertole per contrastare l’effetto del morso del serpente, mangiano alcune specifiche radici. Particolare il caso dei tamarini, scimmie diffuse in Sud America che inghiottono interi, grossi semi anche di 1,5 centimetri di diametro, perché passando dall’intestino lo puliscono dai parassiti.

Altri animali invece – lemure macaco o maki nero – si strofinano la pelliccia con millepiedi velenosi, per allontanare i parassiti della pelle. Tutto da imparare dagli oranghi del Borneo che, quando hanno dolori muscolari, cercano le foglie di commelina che inghiottono dopo averle manipolate per una mezz’ora. Altrettanto fa l’orso con il Ligisticum Porteri, più conosciuto come “medicina o radice dell’orso”.

Gli scoiattoli e gli uccelli per allontanare pulci e acari si sfregano pelo e piume con le formiche perché contengono acido formico. Comportamenti che sono oggetto di studio da parte degli scienziati che partono da una discriminante: quando un animale mangia qualcosa che non ha nessun valore nutrizionale, allora è alla ricerca di qualcosa per curarsi.

Anche il mozzicone di sigaretta cercato con attenzione dagli uccelli per farsi il nido, ha qualcosa di naturale: hanno imparato che il tabacco serve per allontanare pidocchi e acari. La curiosità? Anche gli animali si ubriacano. Il bevitore più incallito? Il topo della Malesia, goloso del nettare fermentato dei fiori di palma; arriva a berne l’equivalente alcolico di 9 bicchieri di birra. La sua fortuna è quella di un metabolismo in grado di neutralizzare l’alcol velocemente. Ma anche l’elefante non è certo da meno. Non fategli trovare giare di birra di riso, o per quelli africani i fiori fermentati della marula dai quali viene prodotto il vino africano “Buganu”. Gli effetti sono devastanti. Salvaguardare il patrimonio forestale è perciò importante, anche per salvare gli animali e mantenerli in salute. (d.p.)













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