Scontro Ferrari-Rossi per il Pd il caso «è chiuso»

Corsi anti-omofobia, l’assessora assente alla delibera. Il segretario Gilmozzi e i colleghi Olivi e Zeni: «Nessun caso politico né di genere. Accordo trovato»


di Chiara Bert


TRENTO. Caso«aperto» e subito «chiuso». Lo scontro in giunta di venerdì scorso tra l’assessora Sara Ferrari e il governatore Ugo Rossi sui corsi antiomofobia nelle scuole - con l’assessora che ha ben presto abbandonato la seduta senza votare la delibera su un tema di sua competenza- per il Pd è già archiviato. «Non c’è nessun caso politico, grazie al lavoro degli assessori Olivi e Zeni si è trovata una mediazione che è andata a buon fine», commenta il segretario provinciale del Partito Democratico Italo Gilmozzi. «Non vorrei che si deviasse dal tema, che non è il battibecco tra l’assessora e il presidente, ma il fatto che questioni come l’omofobia e la doppia preferenza di genere sono importanti per la comunità e per il Pd e devono essere affrontate con attenzione e rispetto dalla coalizione».

Relatore della delibera in questione, visto che si parlava di linee guida per le scuole, era il presidente Rossi, in quanto assessore all’istruzione. Ma certo stupisce che una delibera sui temi di competenza dell’assessora sia stata discussa e votata in sua assenza. Questa la ricostruzione dei fatti: Ferrari ha posto il problema della necessità di chiarire che per l’assenza alle lezioni contro l’omofobia serviva una giustificazione motivata, Rossi ha obiettato che la delibera era uscita dalla commissione (approvata con l’astensione di due consiglieri di maggioranza, ndr) ed era già stata rivista più volte; ne è nato uno scambio aspro, concluso con il governatore che faceva notare all’assessora che se non concordava poteva anche andarsene, cosa che Ferrari ha puntualmente fatto. Al loro posto, a mediare, sono rimasti Olivi e Zeni. E alla fine è passata la richiesta di giustificazione (non motivata), mentre Rossi ha obiettato che non era il caso di aggiungere una comunicazione di chiarimento alle scuole, sollecitata dagli assessori Pd, perché avrebbe creato solo «ulteriore confusione».

«La discussione che c’è stata è stata sul merito, non ascrivibile a un problema di genere», spiega il vicepresidente Alessandro Olivi, «in giunta ho vissuto e assistito a ben altri scontri, detto questo abbiamo portato a casa il risultato, se un genitore tiene a casa il figlio dai corsi anti-omofobia, quella è considerata assenza». Sulla stessa linea l’assessore Luca Zeni: «In giunta succede di avere confronti anche aspri, ma l’importante è poi trovare una linea condivisa, cosa accaduta anche questa volta. Per il resto sicuramente non c’entra la questione di genere, e la stessa collega Ferrari ha detto che non ci sono casi politici».

Ma allora perché, se si è trattato solo di uno scontro, per quanto aspro, tra colleghi, l’assessora ha sentito il bisogno di sollevare la questione nel gruppo Pd, e poi di parlarne con il segretario? E come mai il caso viene fatto trapelare con una ricostruzione dove Ferrari ne esce come «vittima» di un atteggiamento arrogante e maschilista del presidente (tanto che lo stesso Rossi ha tenuto a puntualizzare «discuto con le persone, non con i generi»)?

Anche la consigliera Pd Lucia Maestri minimizza: «Quanto successo riguarda la giunta, l’assessora Ferrari ha spiegato che per lei il caso era di merito e non di discriminazione di genere. Per me la questione è chiusa, e sarebbe bene - aggiunge - che le dinamiche di giunta restassero dentro la giunta». Caso chiuso dunque, almeno per questa volta.

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