Rivolta in carcere: denunciati 30 detenuti 

I reati sono: violenza contro pubblico ufficiale, incendio, danneggiamento lesioni e anche sequestro di persona ai danni di una addetta alla lavanderia



TRENTO. La Procura di Trento ha denunciato 30 detenuti ritenuti fra i responsabili della rivolta del 22 dicembre nel carcere di Spini di Gardolo. I reati contestati, a vario titolo, sono: violenza contro pubblico ufficiale pluriaggravata, incendio, danneggiamento aggravato, lesioni. Accertato che, nelle ore durante le quali il carcere ha visto la rivolta di oltre 300 detenuti (meno la sezione femminile ed alcuni detenuti speciali) e poi la sommossa di 200 persone lungo i tre piani della struttura, 10 sono stati gli agenti di polizia penitenziaria rimasti intossicati. Un reato riguarda il sequestro di persona, per circa un’ora, ai danni di una impiegata che, all’interno del carcere, opera in qualità di addetto alla lavanderia. In merito a questo episodio interviene il segretario generale dell’O.S.A.P.P., (Organizzazione Sindacale autonoma Polizia Penitenziaria) Leo Beneduci. Questi racconta come il personale di polizia penitenziaria abbia «tratto in salvo una donna che ha rischiato di essere presa in ostaggio dai facinorosi». In base a quanto ricostruito dalle indagini, la donna era stata sequestrata. Beneduci insiste inoltre sul dovere di rendere il giusto riconoscimento ai «poliziotti penitenziari, che hanno evitato l’allontanamento in massa dal reparto detentivo, proteggendo un valico totalmente divelto, sistemando un container per chiudere il varco». La rivolta era cominciata al mattino, quel 22 dicembre, dopo che nella notte era montata la protesta per l’ennesimo suicidio. Un trentaduenne, Sabri El Abidi, tunisino impegnato e ben voluto in quel mondo a parte che è il carcere, si era tolto la vita della notte fra il 21 e il 22 dicembre. Era morto per soffocamento. Attesi i risultati dell’autopsia eseguita il 23 dicembre su ordine della Procura. L’uomo, padre di una bimba con cui sperava di passare il Natale, aveva presentato richiesta di liberazione anticipata al Tribunale di Sorveglianza. Avrebbe estinto la propria pena nella prossima primavera. La risposta all’istanza non era ancora arrivata. Le fiamme in carcere erano salite, per mano dei detenuti, contro la lentezza di un sistema, quello della Magistratura di Sorveglianza, oltre che per la morte di Sabri. I rivoltosi erano partiti proprio dal terzo piano, dove Sabri si era tolto la vita. All’apertura delle celle, dopo averle richiuse dietro si sé, avevano iniziato a dare fuoco (nel centro delle sezioni) a materassi, lenzuola, suppellettili, a spaccare quel che incontravano, con sgabelli e ogni oggetto fosse utile allo scopo. Tra fiamme e fumo anche le sferzate degli estintori avevano contribuito a rendere l’aria irrespirabile. Così lungo i tre piani, passando per la scala di comunicazione, bloccando le inferriate di accesso alle sezioni. In tutto questo, gli agenti della penitenziaria bloccavano la rivolta una prima rivolta, poco prima delle 8.30, all’interno delle celle, quando alcuni detenuti avevano appiccato il fuoco alle proprie coperte. Sono intervenuti durante la rivolta: i detenuti erano arrivati al piano terra, ai passeggi (con l’ordine, immediato, dalla direzione, di recarsi là ed abbandonare i piani) una volta suonato l’allarme all’interno del carcere. Al piano terra, la lavanderia. Dentro le mura decine di agenti, polizia, finanza, carabinieri, i reparti speciali, in assetto antisommossa. La corsa dei detenuti verso le porte che danno sull’esterno della struttura (l’area verde che poi è cinta dalle alte mura) la porta sfondata con i calcio balilla, portati giù, a peso, dai piani. L’opera di mediazione di Questore, Prefetto e Direttore del carcere. Il fumo, la confusione. «Brucia la galera», «Assassini», «Ti amazzo». Urla tra le mura, nessun ferito, ma agenti all’ospedale per accertamenti. La calma. La mediazione aveva sedato la rivolta. Nelle ore successive, data l’inagibilità di cinquanta celle e molti spazi comuni, tra cui i laboratori al piano terra, un centinaio erano stati i detenuti trasferiti da Spini in altre strutture carcerarie. Mentre alcuni detenuti si davano da fare per ripulire le sezioni, la Procura procedeva, alla vigilia e a Natale, con gli interrogatori, serrati. Un tassello dopo l’altro, le immagini delle telecamere come ordito di una trama complessa. L’esito di questi interrogatori ha portato all’individuazione e quindi alla denuncia dei detenuti, trenta, finora, ritenuti tra i responsabili della rivolta. Sono i primi, mentre non si esclude vi siano anche altri trasferimenti, nelle prossime ore. «Il livello di rischio per gli operatori penitenziari è aumentato, negli ultimi mesi -denuncia Beneduci- smentendo il cosiddetto rischio zero che qualcuno vorrebbe affibbiare all’espletamento del mandato degli agenti di polizia penitenziaria». Infine l’auspicio: «che il Capo del Dipartimento faccia chiarezza sulle ragioni relative agli eventi critici degli ultimi mesi nel carcere di Trento, tra cui si evidenziano anche due decessi, due tentativi di impiccamento, un tentativo di evasione e svariati atti di aggressione». (f.q.)















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