Ratti all'attacco di largo Carducci

Patton: «Residenti e commercianti in allarme. Rischio per la salute»


Luca Marognoli


TRENTO. Chi ha detto che i ratti bazzicano solo i bassifondi o le periferie? I residenti al Magnete, esasperati dallo stato di abbandono della zona, lamentano di vederli scorrazzare tra l'erba alta e le immondizie. Ma anche il centro storico ha i suoi problemi: le pantegane "della borghesia" si sono fatte l'attico in largo Carducci e via Galilei, con vista sul rinascimentale Palazzo Firmian. Lo denuncia il consigliere comunale Marco Patton, in un'interrogazione a risposta scritta presentata ieri.

Il barbiere-maratoneta torna a fare il paladino dei cittadini, dai quali dice di avere ricevuto numerose segnalazioni sulla presenza dei ratti in largo Carducci. A lamentarsi, in particolare, residenti e commercianti della zona, che si imbattono nelle pantegane in ore notturne. Nel documento, Patton cita la prolificità dell'animale, che in assenza di misure di disinfestazione, «può giungere rapidamente alla sovrappopolazione».

Tra i danni causati, quelli a coltivazioni, riserve alimentari come magazzini o dispense, ma anche a cavi elettrici, ottimi da rodere. Ma il rischio più concreto è quello legato all'igiene. «Un ratto selvatico - scrive nell'interrogazione il consigliere Upt - può essere affetto da oltre 30 malattie trasmissibili all'uomo, inclusi il tifo, la peste bubbonica e la febbre da morso di ratto. Da non sottovalutare anche la leptospirosi, che viene contratta attraverso il contatto con le urine dei roditori e può avere conseguenze anche mortali per l'uomo».

C'è poi l'aspetto del degrado, in una città considerata «esempio nazionale» per la sua pulizia. Fabrizio Pedrolli, che gestisce l'edicola davanti all'Unicredit, conosce bene il problema. «Il fenomeno esiste da qualche anno», dice. «Di topi ce ne sono tanti che girano, soprattutto la sera: vanno a mangiare nei cassonetti. Trovano rifugio probabilmente nell'alveo della vecchia roggia, che non scorre più. Sono grandi come conigli».

Anche l'ente pubblico è al corrente del problema. «In effetti l'Azienda sanitaria ha posizionato delle trappole mangiatoia, ma quest'anno non le ha caricate con l'esca. Sono tre in tutto, di cui una fuori uso e le altre vuote». Sarebbe necessario tornare ad utilizzarle con regolarità. «Sono molto efficienti: colpiscono l'apparato respiratorio dei ratti, che sono costretti a uscire allo scoperto. A quel punto noi dobbiamo chiamare i vigili del fuoco. Una procedura anche un po' macchinosa». Il chiosco è di ferro, quindi a prova di denti. «E' una questione sanitaria», continua Pedrolli. «Se piove esce il percolato degli escrementi dall'aiuola. Che è utilizzata come un gabinetto dai topi, ma anche dai cani e da qualche essere umano...».

© RIPRODUZIONE RISERVATA













Scuola & Ricerca

In primo piano