«Più lavoro e più pericoli Vaia ha cambiato tutto»
A come legno. Nell’evento organizzato dall’Associazione artigiani i ricordi della tempesta Il boscaiolo: «Le piante sono come uno shangai. L’esperienza non basta, ci vuole fortuna»
Trento. «Vaia? Vaia ci ha cambiato la vita. Prima eravamo un’azienda familiare. Ora ci sembra di lavorare in una grande industria: tutto deve essere fatto in fretta, dobbiamo essere veloci. È quello che conta di più. Importa la quantità, non la qualità del legno che raccogliamo. Sapete cosa dico io? Vaia è stato come perdere per strada un portafoglio pieno di soldi».
Marco Bernardi è un boscaiolo. Lo incontriamo fra i padiglioni di “A come legno”, la fiera organizzata a Trento sud dall’associazione artigiani del Trentino. L’evento è stato inaugurato ieri e prosegue oggi. Domani ci saranno una serie di incontri dedicati proprio a Vaia, con una cerimonia di ringraziamento per i Vigili del fuoco, alle 10 e mezza.
Il ricordo di Vaia
Gli echi della tempesta riempiono però l’intera aria espositiva. E non solo negli spazi dove viene proiettato il documentario dedicato a ciò che è successo un anno fa. Accanto, c’è un’installazione realizzata da Irene Trotter e Mauro Paluselli. Si entra in una piccola baita di legno, si sentono gli odori del bosco e con delle cuffie ci si può immergere nei rumori di Vaia.
Il ricordo rivive, ancora di più, nei racconti di chi lavora ogni giorno nel bosco. Perché, per loro, la vita è cambiata davvero, un anno fa: «Noi per esempio abbiamo scelto di vendere il nostro legname in Austria, dove ci sono segherie che sono abituate a lavorare con queste quantità. Ora esportiamo all’estero fra l’80 e il 90 per cento di quello che raccogliamo. Prima di Vaia, il 90 per cento lo destinavamo al Trentino», dice Bernardi.
Il lavoro è aumentato, i prezzi sono crollati, ma soprattutto con gli schianti si sono moltiplicati i pericoli. Mercoledì, un boscaiolo veneto di 52 anni, particolarmente esperto, è morto nel bellunese, travolto da un tronco abbattuto da Vaia: «Le piante sono cadute in maniera disordinata, è come un grande shangai. Ci sono torsioni fisiche che sono molto pericolose - spiega Bernardi -. Finora gran parte del lavoro è stato eseguito con le macchine. I rischi maggiori ci saranno quando si passerà al lavoro manuale, soprattutto nei posti più scoscesi. Lì non basterà l’esperienza. Ci vorrà anche tanta fortuna».
Impatto psicologico
«Il fatto è che lavorare nel bosco schiantato non è come lavorare in un bosco tradizionale - dice Carlo Marinolli, istruttore di Aifor per le foreste demaniali -. È tutto più stancante, perché si lavora con la preoccupazione di quello che potrebbe succedere. Vaia ha avuto anche un impatto psicologico sui nostri boscaioli trentini. Anche chi ha esperienza non può prevedere quello che succederà con certi alberi. Ogni giorno è una sfida. I boscaioli, alla mattina, non possono dire quanto legname riusciranno a raccogliere durante la giornata».
«Dopo Vaia sono cambiate le nostre prospettive: tutto è diventato meno chiaro - spiega Luca Villotti, proprietario di una segheria - Abbiamo iniziato a confrontarci fra boscaioli, imballagisti e segherie. Il problema vero è raccogliere tutto il legname che è caduto, in tempi brevi. Le aziende non erano pronte a quello che è successo e ci hanno aiutati dall’estero. Però devo dire che la filiera delle segherie trentine ha risposto bene: abbiamo un apparato in grado di consumare tanto legno».