«Per due ore “prigionieri” in reparto dopo la scoperta del primo caso»
Due ore di sospensione totale. È quanto dice di aver vissuto la famigliare di un paziente ricoverato nel reparto dove nei giorni scorsi è stato diagnosticato il primo caso di contagio da coronavirus...
Due ore di sospensione totale. È quanto dice di aver vissuto la famigliare di un paziente ricoverato nel reparto dove nei giorni scorsi è stato diagnosticato il primo caso di contagio da coronavirus in una donna trentina. Una situazione che - secondo la donna che ha scritto la lettera al “Trentino” - doveva e poteva essere gestita meglio.
«Sono la parente di un paziente ricoverato da circa due settimane nel reparto Geriatria A dell’ospedale “Santa Chiara” di Trento. - esordisce la lettera - Come al solito oggi, lunedì 2 marzo, mi sono recata a far visita a mio nonno verso le ore 16.50. Dopo poco, un’operatrice sanitaria ha detto in modo deciso alla parente di un altro degente che si era recata in infermeria per chiedere un farmaco da somministrare di andare subito in camera e di non uscire. Nel frattempo ci siamo accorti (molti dei parenti presenti nel reparto) che la portafinestra del piano era spalancata (in un reparto con persone anziane, mentre stava nevicando). Una signora è andata cortesemente a chiedere a un’operatrice di chiuderla ma le è stato risposto che bisognava cambiare l’aria. Da lì non si è visto più nessun operatore sanitario passare sul piano (erano tutti chiusi in infermeria) e questo per molto tempo, circa fino alle 19. Non appena ho notato un medico uscire - continua la lettera - mi sono avvicinata chiedendo spiegazioni in quanto la cena non era stata ancora portata e nessuno più rispondeva ai campanelli. Con molta agitazione mi è stato risposto che al più presto avrebbero spiegato la situazione a tutti i parenti presenti nel reparto. Di lì a poco siamo stati convocati in un ufficio dove ci hanno comunicato che in una stanza era stata ricoverata una persona risultata positiva al Cod19. Abbiamo posto tutte le domande del caso e ci è stato spiegato che non abbiamo corso nessun rischio in quanto non siamo entrati nella stanza del paziente in questione. A lungo non è stato permesso né di uscire né di entrare nel reparto e quando ho chiesto ulteriori spiegazioni al dottore è stato riferito che la mattina era stato richiesto il tampone e che solo nel pomeriggio (tra le 16.30 e le 17) era stata data la risposta di positività. Ora mi domando perché mi è stato permesso di entrare nel reparto con questa situazione in atto è come si fa in attesa del referto di un tampone a ricoverare una persona con presunta infezione proprio nel reparto con i pazienti più a rischio. Non dovrebbe l’ospedale tutelare la salute di tutti, ricoverati e chi viene a far visita? Come si fa a non tener conto delle possibili problematiche di salute di qualche parente che tranquillamente si reca a far visita al proprio malato? Specifico inoltre che il reparto si è “fermato” per circa 2 ore non tenendo minimamente in considerazione lo stato di alcuni pazienti e non rispondendo più alle richieste di aiuto. Ora capisco la situazione di emergenza anche se per niente il modo in cui è state gestita, ma è possibile che in un ospedale tutto il personale rimanga in standby così a lungo? E dov’è il rispetto dei protocolli del Coronavirus? Ritengo cosa molto grave - termina la testimonianza - che dopo due mesi di informazioni l’ospedale stesso abbia gestito l’evento in questa maniera».