«Non bastano i vigili anti-bullo»
Dirigenti scolastici d’accordo: servizio utile, ma anche la scuola deve fare la propria parte. Educando
TRENTO. I vigili anti-bullismo davanti alle scuole possono essere un’iniziativa utile come misura preventiva, se ben raccordata ai singoli istituti, ma non sono l’unico sistema per scoraggiare il fenomeno. Serve un’attività educativo-pedagogica di lungo periodo per riuscire ad arginare la prepotenza dei bulli, ma i risultati si vedranno solo tra qualche anno. E’ questa in stringata sintesi l’opinione che circola tra i dirigenti scolastici, interpellati sul progetto che l’assessorato alle politiche sociali del Comune ha predisposto assieme alla polizia municipale per contrastare i comportamenti vessatori e violenti in ambito scolastico alla luce delle cifre, che parlano di un’impennata degli episodi di bullismo negli ultimi anni. «Credo sia un’iniziativa utile, se condotta a stretto contatto con le scuole. Oltre a costituire un deterrente, gli uomini in divisa davanti agli istituti possono vigilare sul comportamento degli studenti all’esterno degli edifici scolastici, cioè in un contesto in cui insegnanti e dirigenti hanno scarsa o nulla giurisdizione» commenta Elina Massimo, oggi dirigente dell’Istituto d’arte ma con anni di esperienza negli istituti comprensivi. «Ogni scuola - spiega la professoressa Massimo - conosce bene le proprie criticità, sa quali sono i singoli casi “a rischio”. Con la polizia municipale vanno predisposti interventi mirati, ma non è l’unica strada per contrastare il fenomeno. Ci sono i piani educativi e formativi da costruire, la scuola può e deve fare la sua parte. In sette anni di istituto comprensivo a Trento 6, ho potuto constatare che una seria attività educativa alla lunga paga. Certo, con alcuni ragazzi è battaglia persa, mentre con altri ci sono possibilità di recupero più elevate. Ma vale sempre la pena di provare, anche dove pare che non ci sia alcuna speranza. Il nostro è un ruolo educativo, non repressivo». La fascia di età più esposta a episodi di bullismo, a parere della dirigente, è quella delle scuole medie. «Le medie, soprattutto alla luce dell’ultima riforma scolastica, andrebbero ripensate alla radice. Però - aggiunge - è al tempo stesso un momento della vita educativa in cui si può intervenire sui ragazzi con maggiori probabilità di successo». Secondo Paolo Dalvit, dirigente dell’Iti Buonarroti, i vigili anti-bullismo sono «un’azione opportuna e meritoria per tamponare le emergenze. E’ capitato anche a me, non tanto al Buonarroti quanto negli istituti comprensivi, di trovarmi costretto a chiamare la forza pubblica per risolvere gravi episodi di violenza. Ma se si vuole andare alla radice del problema, va svolta in’attività formativa ed educativa, con adeguati strumenti pedagogici. Quando mi è capitato di fronteggiare casi di bullismo si è rivelato decisivo il rapporto con le famiglie, sia quella di chi ha subito l’abuso, sia quella a cui appartiene il ragazzo che lo ha commesso. Ma da solo, l’aspetto pedagogico non basta, bisogna agire su più livelli. Il bullismo è espressione di disagio, di volontà di affermazione o rivendicazione, spesso non cosciente. E’ un fenomeno complesso che va affrontato su vari piani, lavorando in termini sistemici assieme alle scuole, alle istituzioni, alle varie organizzazioni e associazioni che si occupano di formazione». I risultati però non ce se li può aspettare nell’arco di mesi o anni. «Serve almeno un lustro o un decennio per misurare gli effetti di un’azione condotta attraverso gli strumenti pedagogici» sentenzia Dalvit.
Alberto Tomasi, preside al lice Da Vinci, confortato dai dati del suo istituto, ritiene invece che possano bastare i tradizionali sistemi educativi. Anche se ammette che in un caso, qualche anno fa, si è visto costretto a richiedere l’intervento delle forze dell’ordine per cessare il comportamento provocatorio di alcuni studenti nel passaggio provvisorio tra via Madruzzo e via Giusti. «L’intervento della forza pubblica è opportuno e necessario in certi casi complicati. Qui al da Vinci i dati parlano di pochi casi negli ultimi anni, nemmeno di bullismo ma piuttosto di prepotenze, che abbiamo risolto con sistemi educativi, a volte con sanzioni. Ci sfuggono alcune situazioni che vedono protagonisti nostri studenti ma in vicende che si sviluppano fuori dalle mura scolastiche. Sono i casi più difficili. C’è poi una tipologia di “bullismo nascosto”, quando la vittima è un ragazzo timido, incapace di denunciare o segnalare l’abuso. Prima di chiamare la polizia è però meglio parlare, anche alle famiglie coinvolte».