l’anniversario

«Muse: qui dialogano scienza e filosofia»

Dal 2019, Stefano Zecchi è presidente del museo. «Il fattore decisivo? Aver allacciato un dialogo con Le Albere»


Ilaria Puccini


TRENTO. «Un museo non deve essere solo un luogo di conservazione, ma deve essere vivo, sempre aperto al futuro e luogo gi dialogo tra discipline diverse. Ora i nostri sforzi devono incentrarsi sempre più sulla comunicazione del nostro potenziale». Stefano Zecchi, filosofo, scrittore e volto televisivo, già professore ordinario di Estetica all’Università di Milano, città dove è stato anche assessore alla Cultura e alla guida dell’Accademia delle belle arti di Brera, dal 2019 è presidente del Museo delle Scienze di Trento. Un’istituzione che a suo vedere, con centinaia di migliaia di visitatori ogni anno, è ormai proiettata in una dimensione sempre più internazionale.

Secondo lei cosa rappresenta il Muse per Trento?
Per i trentini direi che è stato uno dei momenti culturali più importanti nella storia della città. Il problema ora è superare i confini di una valenza puramente territoriale per aprirci a una dimensione sempre più internazionale.

Quali sono alcune peculiarità del museo che possono contribuire a valorizzarlo?
Per farlo emergere ancora di più servirà un grande impegno sul piano della comunicazione, ma i punti di partenza sono già ottimi, pensiamo alla struttura firmata da Renzo Piano e al patrimonio espositivo che per un museo di scienze naturali e non solo è di altissima qualità e sempre rinnovato nel tempo.

C’è poi un importante lavoro di messa in dialogo tra scienza e filosofia.
Questo è forse l'aspetto più importante di cui mi sono occupato. In questi anni, sotto la mia presidenza abbiamo inaugurato al Palazzo delle Albere una riflessione sul rapporto tra scienza e filosofia con delle esposizioni da me ideate e curate da persone di grande livello. Un esempio è anche l’ultima mostra in corso, «Anima Mundi. La giostra della vita» dove rappresentiamo l’idea della vita nella sua scientificità, evidenziando il valore culturale e filosofico della nostra tradizione umanistica occidentale. Nella sua carriera lei è partito dalla filosofia e dall’estetica ma oggi è a capo di un museo scientifico. La filosofia e la scienza sono due discipline che nel corso dei secoli si sono sempre incontrate e scontrate e oggi forse più che ieri c'è bisogno di instaurare una relazione virtuosa tra cultura umanistica e cultura scientifica. Cercare e sostenere questa relazione è un aspetto che mi sta particolarmente a cuore, anche per questo abbiamo puntato sul Palazzo delle Albere.

Un edifico storico che dialoga con uno dei quartieri più moderni della città.
Non è una cosa da dare per scontata, quando sono arrivato questo dialogo non c’era e il Palazzo delle Albere era dismesso. Ma ho pensato che potesse essere la sede ideale per questo tipo di esposizioni che hanno come punto di riferimento la relazione scienza e sapere umanistico.

Secondo lei il museo che tipo di propulsione può dare ancora alla città e non solo?
Il museo oggi non è più solo un luogo di conservazione, ma è un luogo di ricerca, di contaminazione dei linguaggi e di studio. Questa concezione, che è tutta contemporanea, è fondamentale per la vita di una città e per un sapere che non si fermi ai confini di Trento. Ecco quindi che il Museo delle Scienze, grazie anche all’integrazione con il palazzo e il quartiere delle Albere, diventa un punto di riferimento di sperimentazione e ricerca multidisciplinare, luogo di incontro tra scienziati e visitatori.

C’è qualche realtà nazionale o internazionale che le ha fornito qualche spunto in particolare?
Proprio di recente sono stato al Museo delle Scienze di Milano, un centro molto importante e significativo a cui il Muse non ha nulla da invidiare. Come detto, ora si tratta di far conoscere con un'adeguata comunicazione che esiste questa importante realtà qui a Trento.

Quale direzione vede per il futuro del museo?
Il futuro a mio parere è quello di continuare a mantenere questo progetto che lega scienza e umanesimo, che spero che non vada perduto, è una strada iniziata solo da pochi anni e che deve ancora compiere gran parte del suo cammino, è quindi importante non perderla di vista. Si tratta del più importante aspetto innovativo del museo e quindi dobbiamo continuare a investirci anche in futuro per consolidarlo.
 













Scuola & Ricerca

In primo piano

la storia

«Fiuto e determinazione, così presi Marco Bergamo» 

Va in pensione Arervo, il poliziotto che il 6 agosto 1992 mise le manette al serial killer dopo una caccia durata tutta la notte. «Nell’83 vidi il corpo di Marcella Casagrande. Certe cose ti segnano per sempre»


Luca Fregona