Muore di crepacuore tre giorni dopo la moglie Marisa

Il re dei pavimenti Gino Imoscopi, 87 anni, non ha retto al dolore per la scomparsa della compagna di una vita


di Giorgio Dal Bosco


TRENTO. Storia che stringe il cuore, storia d’amore di due coniugi che hanno vissuto insieme 60 anni, unione che nel pomeriggio dell’ultimo giorno dell’anno è cessata anagraficamente, ma non certo nel ricordo dei figli e di coloro che li stimarono. I fatti nella loro essenziale cronologia: l’altro ieri, il 31 dicembre nel primo pomeriggio, alle ore 16 si è spento improvvisamente Gino Imoscopi, 87 anni, imprenditore di origine vicentina assieme ai fratelli nel ramo della pavimentazione, un uomo di fortissima fibra. Alla medesima ora il 28 dicembre, invece, al Santa Chiara dopo tre anni di sofferenze si era spenta sua moglie Maria Luisa (per tutti Marisa) Massai, 82 anni. Di più, oggi 2 gennaio, sempre alle ore 14, al cimitero di Trento, i due coniugi verranno sepolti vicini, uno accanto all’altro, come uniti lo furono nella vita. Così ha disposto il destino e non una pur amabile eventuale accondiscendenza a questa triste storia da parte degli uffici funerari. La morte di Gino è da attribuirsi al classico crepacuore. I figli Simonetta, Paola, Manuela e Feliciano ne sono sicuri. Al funerale della mamma avevano partecipato assieme al papà tirando un sospiro di sollievo. Sembrava, cioè, che la morte della mamma non avesse “inginocchiato” il papà come avevano temuto quando le condizioni della mamma erano andate peggiorando fino al probabilissimo prossimo ultimo respiro. In chiesa, alle esequie di Marisa, Gino era stato il solito uomo di grande cuore anche se, per prudenza, al termine della funzione religiosa e prima della sepoltura i figli gli avevano consigliato, e lui accettato, di raggiungere casa per riposarsi dallo stress. Gino sembrava aver saputo incassare il colpo e invece, senza che nessuno se ne accorgesse, il suo cuore si era gonfiato di dolore inespresso. E nel pomeriggio alla medesima ora in cui sua moglie è morta, lui, in cucina a casa sua con accanto “Pepa”, l’assistente, e il figlio Feliciano, mentre sorseggiava il caffè ha chinato il capo in avanti e si è letteralmente spento tra le braccia incredule dei due.

Dunque, come si vede, una gran bella storia d’amore che chiude in bellezza un anno che in tema di unione e di (talvolta sedicente o presunto) amore dell’uomo nei confronti della donna, è stato un anno “horribilis”. Inutile rivangare qui la cronaca provinciale e, peggio, nazionale, di questo tipo di “nera”.

I due, lui vicentino e lei toscana, si erano conosciuti a Chianciano Terme dove i quattro fratelli Imoscopi erano scesi per la pavimentazione delle Terme. Nei momenti liberi dal lavoro Gino e un fratello erano andati a corteggiare le signorine che sarebbero diventate loro spose. A Trento, nel frattempo, aveva già messo piede il fratello Ernesto per alcuni lavori di pavimentazione, soprattutto palladiana, messi in opera, tanto per fare un esempio, al neonato Upim, alle scuole Bresadola ed altri palazzi ancora. La famiglia Imoscopi, quindi, si era trasferita al completo con l’azienda in Trentino. Gino e Marisa aveva dimostrato d’essere una coppia vecchia stampo, capace di tolleranza e soprattutto di una grande stima reciproca, fondamento imprescindibile dell’amore. Quando tre anni fa in Marisa si manifestarono i primi acciacchi, non c’era verso – raccontano ora i figli – che lei potesse andare ad una visita medica da sola. Dal medico curante andava sempre pure lui e alla fine della visita su Marisa il professionista – vista l’ansia continua del marito - sentiva il bisogno deontologico di dare la classica “occhiata” anche alle sue coronarie che, peraltro, stavano funzionando bene. Infatti, Gino Imoscopi, se lasciava sola per un po’ la moglie, la lasciava soltanto per la solita inguaribile passione per la caccia che, stante le buone camminate che imponeva, dava solidità al suo cuore.

La famiglia Imoscopi si è sempre trovata molto bene in Trentino tanto da non lasciare mai il territorio in cui, lavori a regola d’arte a parte, si era radicata anche negli usi e costumi. La sola eccezione era stata Marisa, ma non certo per antipatia o screzi. Dopo 60 anni di vita in Trentino, infatti, pur amando Trento, la cadenza toscana della sua parlata era rimasta intatta.













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