Mulas: «Ho avuto paura, mi ha prima aggredito lui» 

Nel primo interrogatorio l’uomo ha spiegato di non aver mai avuto l’intenzione di uccidere l’amico che lo avrebbe colpito con una bottigliata alla nuca



TRENTO. «Ho avuto paura». Tre parole che Salvatore Roberto Mulas nella notte fra domenica e lunedì ha ripetuto più volte per spiegare il perché di quella coltellata che ha ucciso Andrea Cozzatti. I due avevano litigato, Mulas - ha raccontato lui stesso - era stato aggredito da Cozzatti. Che avrebbe usato un bottiglia per colpito poco sopra alla nuca. «Ho avuto paura» ripete, e ha reagito. Ha preso dalla cucina un coltello e ha colpito l’amico alla schiena, uccidendolo. «Non c’era la volontà omicida» spiega l’avvocato dell’arrestato, Stefano Daldoss, che era accanto al suo assistito nel brevissimo interrogatorio davanti al sostituto procuratore Marco Gallina e agli investigatori della squadra mobile. Quella del pensionato sardo - minato anche nella salute oltre che da una vita segnata dalla fragilità e dalla dipendenza - sarebbe stata una reazione istintiva, dettata dalla paura. E quando ha visto l’amico a terra, incosciente, ha cercato di aiutarlo dando l’allarme. Ma non ha usato uno dei cellulari che erano presenti nell’appartamento e che sono stati sequestrati, ma è sceso in strada. Ha aperto la porta del suo appartamento, ha camminato lungo via Maccani fino ad arrivare alla pizzeria al taglio «Zac e Tac» e lì ha chiesto ad un dipendente di dare l’allarme. Ha problemi a parlare, a causa di un’operazione. La sua voce è flebile e forse il timore era che, dall’altra parte del telefono, non avrebbero capito le sue parole. Chiede un favore che viene fatto. Dalla pizzeria parte quindi la richiesta d’aiuto con l’indicazione generica di una persona che sta male, che c’è bisogno di soccorso urgente in via Maccani al civico 22. E quando i sanitari arrivano si trovano davanti al corpo di Andrea Cozzatti in mezzo al sangue, colpito mortalmente alla schiena. Il coltello viene consegnato dallo stesso Mulas ai poliziotti ai quali spiega di aver colpito l’amico. Non si nasconde, non cerca di depistare. Poche parole per raccontare un omicidio. Poi viene portato in questura per un breve interrogatorio. È qui che ripete la «sua» verità. Che racconta di aver reagito per paura. Che era stato aggredito. Sulla nuca ha i segni di una lesione. Provocata da una bottiglia dice lui, che però non sarebbe stata ancora trovata. Poche le frasi dette dell’arrestato che forse parlerà di più domani, quando dovrebbe essere sentito dal gip per l’interrogatorio. E dove è plausibile pensare che ripeterà che non voleva uccidere l’amico, che voleva solo difendersi da chi lo stava aggredendo. Perché è scoppiata la lite? Questo resta ancora un elemento poco chiaro sui quali gli investigatori sono ancora al lavoro.













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