Morte 180 pecore: indaga la Forestale 

Il caso. Strage di ovini in val di Borzago. Gli animali sono arrivati dal modenese con il meccanismo del “prestito” per mantenere i contributi europei Si attendono i risultati delle autopsie per capire le cause della morìa, ma secondo alcuni testimoni i capi sarebbero deceduti di stenti 


M. Di Tolla Deflorian


Spiazzo rendena. Desta scalpore la moria di pecore al pascolo in val di Borzago, sopra Spiazzo, in Val Rendena. Sono 180 finora i capi deceduti, sui 600 che, secondo i documenti, sarebbero arrivati il 6 luglio in Trentino dal modenese. «Abbiamo informato dei decessi e della situazione l’autorità giudiziaria e quella sanitaria veterinaria» spiega il comandante della Stazione Forestale di Spiazzo Rendena, Bruno Todeschini. I veterinari dell’Asl il 30 luglio hanno emesso un'ordinanza di divieto di alpeggio di nuovi capi e una serie di prescrizioni da porre in atto da parte del veterinario aziendale.

Si sta interessando della vicenda anche l’Enpa del Trentino (l’Ente nazionale protezione animali), che ha un nucleo di guardie zoofile. Si attendono gli esiti degli esami autoptici eseguiti dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie, per capire cosa abbia causato la morte di così tanti animali. Certo è che già al loro arrivo le pecore erano magre, forse – dicono i testimoni con i quali abbiamo parlato- inadatte a salire ai pascoli e sui percorsi della Val di Borzago. «Ho riscontrato io stesso che gli ovini erano molto magri», conferma Todeschini. Il comandante spiega «La Stazione effettua sempre i controlli sulla corretta gestione degli animali e sul corretto rispetto del pascolo».

Il meccanismo applicato in questo caso è quello del “prestito” di un gregge di ovini da parte di un’azienda a un’altra, per portare a pascolare gli animali (con un numero minimo di capi, per un numero minimo di giorni) e così mantenere i contributi assegnati dalla Pac europea e dal Piano di sviluppo rurale provinciale. I contributi variano tra i 200/300 euro ad ettaro pascolato (per le aziende giovani), fino ai 500 o mille (per le aziende storiche). Si spezza così però il legame tra il pastore e il gregge. Gli animali diventano quasi una commodity.

La vicenda ha destato indignazione da parte di varie persone in valle. Del resto i movimenti erano assai visibili. Le carcasse delle pecore sono state portate a valle da camion pagati dai proprietari del gregge. In un caso è stato usato un elicottero della Protezione civile trentina, perché alcuni cadaveri erano finiti nell’alveo di un torrente. Chi frequenta la valle, nelle zone intorno a Prà da Vei e malga Sostino, ha incontrato i cadaveri sparpagliati delle pecore o ha visto quelle sofferenti muoversi con fatica. In alcuni casi se ne sentiva il puzzo di cadavere ancora nei giorni scorsi, come racconta Manuela, che ha visto sfilare il gregge il giorno del suo arrivo ed è rimasta indignata. «Io e altre persone abbiamo aiutato il pastore a spostare le pecore più malmesse, che non riuscivano nemmeno a camminare», spiega.

Indignato è anche il gestore dell’agritur a Baite di Prà, Giulio Biasizzo. Racconta: «Era uno spettacolo raccapricciante. Negli anni non ho mai visto una scena del genere Quelle povere pecore erano allo stremo, pelle e ossa, costrette a una salita per loro insostenibile. Non si possono trattare così gli animali, nemmeno per guadagnarci.»

Il presidente del Parco Naturale Adamello Brenta, Joseph Masè, commenta: «In un’area protetta, come da nessuna parte del resto, non è tollerabile sfruttare gli animali. Confido che sia fatta chiarezza e che quanto prima si ponga fine alle sofferenze di quelle pecore».

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