Luca, cervello in fuga: «Dopo 15 anni sono tornato a Trento»
La storia. Il fisico trentino Biasiolli aveva lasciato l’Italia nel 2005: un anno negli Stati Uniti e poi in Inghilterra. «Io e la mia compagna abbiamo scelto di stare vicini alle nostre famiglie»
Trento. Se la famigerata fuga dei cervelli all’estero è dettata quasi esclusivamente da condizioni lavorative migliori e da maggiori opportunità di crescita professionale, c’è anche chi, a distanza di anni, decide di rientrare in Italia pur sapendo che ad attenderlo potrebbe non esserci lo stesso ventaglio di offerte. Eppure si scegliere di tornare anche per gli affetti, per la famiglia, per dare ai figli una rete di relazioni un po’ più solida: tutte variabili che con i numeri hanno poco a che fare, ma che a quanto pare determinano scelte importanti, più di quanto non faccia un buon contratto di lavoro.
La storia di Luca Biasiolli, 42 anni, fisico trentino che dal 2006 alla metà di quest’anno ha vissuto e lavorato in Inghilterra, in questo senso è emblematica: “Ci stavamo pensando da un po’, ma poi con Cristina, la mia compagna, abbiamo deciso: quest’estate siamo tornati a Trento. Io ero via dal 2005: dopo la laurea qui ho lavorato per un breve periodo in un’azienda, poi sono andato un anno negli Stati Uniti e infine in Inghilterra, a Oxford, dove ho fatto un dottorato in medicina cardiovascolare. Lì sono rimasto, dividendomi con Londra, e man mano, tra assegni di ricerca e scatti, sono diventato ricercatore senior. La mia compagna, invece, lavora nel mondo dei musei e sta ultimando un dottorato con la Tate Modern e l’ateneo di Exeter sull’applicazione delle tecnologie digitali per rendere le collezioni più aperte, fruibili”. Cosa ha determinato la scelta di tornare? “Una serie di fattori, ma direi prima di tutto una questione personale: abbiamo una bimba piccola, aspettiamo la seconda, e volevamo tornare vicini alle nostre famiglie. Poi c’è la Brexit, che per noi all’atto pratico influisce fino a un certo punto visto che abbiamo ottenuto la doppia cittadinanza, ma sicuramente negli ultimi tempi si è creato un clima economico-culturale ostile, un’atmosfera fastidiosa che purtroppo, protraendosi dal 2016, ha reso tutto monotematico”.
Certamente in un ambiente internazionale come Oxford l’effetto Brexit si avverte un po’ meno, “ma lì è una specie di bolla, come lo è anche Londra - aggiunge Biasiolli - e poi noi già da anni parlavamo di tornare, ci piaceva come idea”.
Il tema familiare ha influito moltissimo nella scelta di Biasiolli: “Essendo entrambi trentini - racconta il docente - iniziava a diventare un po’ pesante, sia per noi che per i nostri genitori, vedersi due settimane a Natale e una o due settimane l’estate. Uno stress per la bambina, che non stava costruendo un rapporto stretto con i nonni, e anche per i nonni stessi, ai quali più di tanto non possiamo chiedere di viaggiare. Poi è vero che il costo elevato della vita che c’è in Gran Bretagna è parametrato agli stipendi ma, ad esempio, un servizio come l’asilo resta comunque molto caro”. Costruirsi reti solide di amicizie non è semplice, soprattutto in contesti come l’accademia dove spesso ci si ferma per qualche anno e poi si va via: “Londra e Oxford sono porti di mare, tante persone dopo 4 o 5 anni vanno via. Alcuni amici sono rimasti, come noi, a lungo ma non siamo la maggioranza. L’aspetto positivo è che conosci gente da tutto il mondo ed è stimolante, ma costruire relazioni solide è più difficile. Oxford è una realtà già un po’ più familiare della capitale e con i figli piccoli si ha l’opportunità di conoscere altre famiglie. Poi ci sono persone con cui continuiamo a sentirci anche a distanza: giusto ieri abbiamo fatto una videochiamata Skype con amici conosciuti in Inghilterra e che oggi vivono a Toronto”.