La docente di Lettere a Trento racconta il suo rapporto con la scrittrice cilena

Liverani: «La gioia di tradurre la Allende»

A breve inizia il lavoro per il nuovo romanzo: «La summa de los dias»


Sandra Mattei


Ha tenuto la laudatio in onore di Isabel Allende. Elena Liverani, docente di Lingua e di traduzione spagnola alla Facoltà di Lettere e Folosofia di Trento è stata una delle protagoniste dell'incontro con la scrittrice. Di lei ha detto: «Poche scrittrici del Novecento, come Isabel Allende, dà voce a chi, come le donne, la voce non l'ha quasi mai avuta e, nell'affetto che molti lettori, e soprattutto molte lettrici donne, le tributano c'è, credo, anche la gratitudine per aver finalmente trovato le parole per dire di noi quello che altri grandi scrittori (uomini) non hanno potuto dire». al 1998, Elena Liverani è la traduttrice dei libri della Allende. Le abbiamo chiesto di raccontare la sua esperienza.

Come è nata l'attività di traduttrice?
Traducevo già molto da Feltrinelli, ad un certo punto mi chiesero di tradurre l'Allende e accettai con molta gioia. Negli ultimi anni questo lavoro mi ha a tal punto impegnata, insieme al lavoro di docente, che ho deciso di tradurre solo un libro all'anno e solo la Allende.

Da cosa è dettata la scelta?
Penso sia importante continuare a tradurre lo stesso autore: si entra in una sorta di circolo, di intimità, di empatia.

Quando ha incontrato la Allende la prima volta?
In Italia in occasione dell'uscita di “Afrodita”, uscito nel 1997. Le era stato parlato molto bene della traduzione ed io ero soddisfatta, perché il lavoro ero stato particolarmente complesso. Spaziando il libro in divagazioni erotiche culinarie era davvero molto importante trovare il registro giusto: bastava veramente un attimo per scadere nella volgarità. E' stato uno dei libri più impegnativi. Da allora ci scriviamo e ci teniamo in contatto perché l'attuale politica editoriale vuole che le edizione all'estero escano insieme e perciò si lavora sul manoscritto.

Che cosa comporta lavorare sul manoscritto?
Ci sono vantaggi e svantaggi. Svantaggi perché alla fine della traduzione possono arrivare delle modifiche e bisogna ricominciare da capo, il vantaggio è che si può correggere e dare suggerimenti in tempi utili.

Come si riesce ad entrare in sintonia con una scrittrice che usa un linguaggio molto radicato nella cultura Sud Americana, con i suoi odori, sapori?
Questa è la vera sfida della traduzione: non si traduce mai da una lingua all'altra, perché altrimenti sarebbe sufficiente un traduttore automatico, ma si traduce da una cultura all'altra. Ci sono perciò inevitabilmente degli scarti, che possono essere più o meno ampi, come ad esempio nell'ultimo libro “Ines dell'anima mia”, perché c'è un lasso di tempo dal punto di vista cronologico, di 500 anni. E' una “politica” che si concorda con l'autore e con l'editore, tra quale dei due poli oscillare: se interessa restituire con la traduzione di più la cultura di chi riceve o quella il più vicino possibile a chi ha scritto il testo originale. Gli studi di teoria della traduzione si stanno svolgendo proprio attorno a queste riflessioni.

Che scelte ha fatto, in conclusione?
Scelte radicali: ho cercato il più possibile la cultura d'origine, rendendo più arduo il compito del lettore. Innanzitutto perché penso che i lettori abbiano gli strumenti per cogliere la diversità culturale e perché non mi convincono le traduzioni annacquate. Tradurre è un grande privilegio: è l'unica attività che permetta di leggere e scrivere nello stesso tempo, ricodificare consente di fare queste due operazioni.

A quando il prossimo libro?
Proprio nel giro di una settimana arriverà l'ultimo libro, che s'intitola “La summa de los dias” e che ripercorre gli ultimi dieci anni della sua vita.













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