La fiaccolata della pace  pensando ai migranti  

Il vescovo Tomasi: «Accogliere chi fugge da guerre e miserie è un dovere dei cristiani e un imperativo della politica». Appello di Tisi contro gli armamenti


di Fabio Peterlongo


TRENTO. «L’accoglienza del migrante che fugge da guerra e miserie è un dovere del cristiano e un imperativo della politica che non può soffiare sul fuoco delle paure». Riecheggia il messaggio di papa Bergoglio, nelle parole del vescovo Silvano Tomasi (Dicastero Pontificio per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale), pronunciate presso la chiesa del Sacro Cuore. Lì si è celebrata la 51esima Giornata mondiale della pace, introdotta nel 1968 da Paolo VI. È seguita la tradizionale fiaccolata silenziosa, partita con circa 130 persone, poi conclusasi in Duomo.

Monsignor Tomasi illustra l’attualità delle guerre: «L’Isis, sconfitto in Siria e Iraq, continua essere attivo in Asia centrale. Drammatica è la situazione in numerose zone dell’Africa: di questi giorni è la sanguinosa repressione dei cattolici in Congo». Il vescovo ricorda i drammatici numeri delle migrazioni: «Secondo l'Onu 65 milioni di persone sono in fuga, 22 milioni sono i rifugiati riconosciuti, 35 milioni sono i profughi intra-nazionali. Per la Banca mondiale sono 250 milioni le persone che lavorano lontano da dove sono nate. Nel 2017, 3000 persone sono morte nel Mediterraneo; stando alle parole di papa Francesco, il Mediterraneo è diventato un enorme cimitero».

Tomasi affronta il tema dell’impatto delle migrazioni sulle nostre città: «Di fronte a queste persone non sappiamo come comportarci, temiamo ci portino via il lavoro e le risorse. Dimentichiamo che chi arriva non è uno straniero, ma un figlio di Dio con la stessa dignità di ogni altra persona. Ricordiamoci della fuga di Gesù in Egitto: la Chiesa parte proprio dalla consapevolezza che la migrazione è parte dell'esperienza umana». Sollecita soluzioni politiche: «Non è possibile accogliere milioni di persone solo in Italia o in Europa, ma dobbiamo fare la nostra parte. Bisogna creare i corridoi umanitari, facilitando il trasporto legale di queste persone».

Il potenziale umano di quanti arrivano in Europa è centrale nel pensiero di Tomasi: «L’immigrazione è un'opportunità, possiamo sviluppare le nostre società in qualcosa di nuovo e migliore con i talenti di queste persone. Tuttavia il dibattito pubblico è di tipo difensivo e specula sulle paure». Individua alcuni paletti: «L’integrazione prevede l'apprendimento della lingua e un lavoro, in vista della creazione di un futuro comune. Se l'integrazione è efficiente ed ordinata non abbiamo più paura, perché sappiamo che queste persone diventano parte attiva della nostra realtà». Il vescovo ragiona poi pragmaticamente: «Non dobbiamo affrontare questo tema in maniera sentimentale, ma vedendone anche i benefici. In Italia gli stranieri pagano le tasse sufficienti a coprire le spese sostenute dallo stato per i migranti e danno anche un contributo fondamentale al sistema previdenziale».

Tomasi si rivolge a chi teme che le migrazioni portino ad una perdita di identità: «Nella Bibbia la condizione per entrare nel popolo eletto è accettare la parola di Dio. In modo simile, consideriamo come non negoziabili alcuni valori delle nostre culture: l'autonomia della donna, la libertà di coscienza e la possibilità di cambiare credo. Non dobbiamo essere timidi nel chiedere adesione a questi valori. Ai nuovi arrivati dobbiamo però dare modo di esprimere il loro credo in libertà».

Giunti infine nella cattedrale del Duomo al termine della marcia per la pace, l’arcivescovo di Trento Lauro Tisi prununcia parole accorate: «Nell’èra dell’innovazione tecnologica, continuano ad esistere i campi profughi, gli olocausti che si ripetono a dismisura, i bombardamenti. Da questo punto di vista assomigliamo più ai cavernicoli che agli innovatori: abbiamo solo sostituito la clava con le sofisticate armi moderne».

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