«Il tentato suicidio riguarda tutti»
Fedrizzi (Camera Penale): «Il processo dev’essere il più breve possibile»
TRENTO. «Il processo penale è fatto non solo di leggi e di codici, ma di carne e di sangue, nel senso che stravolge sempre e comunque la vita degli uomini che vi rimangono, a torto o a ragione, impigliati, siano essi imputati, siano essi persone offese». Inizia così la riflessione dell’avvocato Filippo Fedrizzi, neo presidente della camera penale di Trento (rinnovata negli incarichi con Giuliano Valer, vice, Teresa Gentilini, segretaria, Ingrid Avancini, Giovanni Guarini e Sara Morolli e tesoriere Antonio Angelini) sul tentativo di suicidio di mercoledì, in carcere, del 20enne che era stato appena condannato a 7 anni e 4 mesi per stupro di gruppo e rapina. «Il tentato suicidio è un fatto che non riguarda soltanto i detenuti o gli avvocati o la comunità nigeriana, ma riguarda tutti noi come cittadini. Ecco perché il processo penale deve essere il più breve possibile, specialmente quando, come nel nostro caso, l’imputato è sottoposto alla più grave delle misure cautelari, e cioè la custodia in carcere. Nel caso del giovane detenuto che ha tentato il suicidio, è passato quasi un anno tra il momento del suo arresto e l’inizio del processo. E questo succede a Trento, che è un’isola felice nel panorama nazionale, dove le statistiche attestano che abbiamo una Procura ed un Tribunale che funzionano molto bene e dove i processi si celebrano molto più rapidamente che nel resto d’Italia.
L’Unione della Camere Penali Italiane guarda con enorme preoccupazione alla riforma della prescrizione proposta dal Governo e lancia un grido d’allarme: se è vero, infatti, che oggi circa il 70 % dei processi si prescrive nella fase delle indagini preliminari (dove l’avvocato non può sfoderare i suoi cavilli per allungare il processo, come sostiene qualcuno) ed i processi sono intollerabilmente lunghi, sia per gli imputati che per le vittime, cosa potrà accadere un domani, quando, approvata la riforma, i processi non si prescriveranno mai e potranno durare all’infinito?» Una riflessione che si conclude con una nota positiva perché «in questo caso sia il pm che il giudice, all’udienza di mercoledì, pur rinviando a giudizio tre degli imputati ancora rimasti sotto processo, hanno avuto il coraggio di applicare il principio di extrema ratio previsto dal codice di procedura penale scarcerando i tre imputati rinviati a giudizio e riservandosi un paio di giorni per decidere la situazione, oggettivamente più complessa, del giovane che ha poi compiuto quel tragico gesto. Ma questa, purtroppo, costituisce ancora un’eccezione».