«Il nostro cervello ha ancora molti segreti da svelarci» 

Il «primario-filosofo» Benedetto Petralia guida la neuroradiologia  interprovinciale: «Conoscere se stessi per avere le cure migliori» 


di Paolo Piffer


TRENTO. La curiosità viene soddisfatta suppergiù a metà della chiacchierata. Perché ad un neurologo, anzi, ad un neuroradiologo, come fai a non chiedere che magari non sia stato anche l’interesse per la filosofia ad averlo portato su quella strada. A scrutare, dentro il cervello, quell’abisso spesso insondabile che è la mente, la connessione tra l’uno e l’altra, quel terreno di vasi comunicanti che tante domande pone ancora, che distingue l’animale-uomo da tutti gli altri che circolano sul pianeta, perlomeno nella capacità di far uso del senno e spesso e volentieri anche del suo contrario. Organo che, almeno simbolicamente, gareggia solo col cuore.

Certo, in questo caso, nello specifico, sul terreno della scienza medica per diagnosticarne le patologie, il decadimento, la malattia, le malformazioni o le affezioni vascolari, le alterazioni come le lesioni, le emorragie e le ischemie. Arterie che si rompono dentro il cervello o si tappano. Per l’esattezza, disciplina, la neuroradiologia, sviluppatasi negli anni Settanta, che si occupa della diagnosi e della cura delle malattie del sistema nervoso centrale e che viene “in soccorso”, affiancandoli, dei neurochirurghi.

Benedetto Petralia, cinquantaquattrenne siciliano, studi a Catania e Modena, pratica sul campo a Udine, da metà maggio primario (direttore) del nuovo servizio di neuroradiologia interprovinciale, tra l’ospedale San Maurizio di Bolzano e il S.Chiara di Trento, non si tira indietro. Non stupisce, ma conferma, anche se non è necessariamente detto, non è così scontato debba esserci, che un nesso può starci. “Socrate, Aristotele. E il grande Kant, che ci ha insegnato quasi tutto”, scandisce. Sì, alcuni tra i giganti del pensiero umano, quell’”impasto” di mente e cervello che ha varcato i secoli, che rimane nella storia del pensiero umano e dei suoi infiniti dedali. “Ho fatto medicina perché volevo studiare il cervello – sottolinea – La mia prima specializzazione è stata neurologia. Successivamente, mi sono dedicato alla neuroradiologia. Occuparsi del cervello significa cercare di capirne la complessità, la sua estrema sfaccettatura, ricchissimo com’è di cose che, ancor oggi, non conosciamo completamente. Sa cosa dicono alcuni studiosi, compresi alcuni premi Nobel? Che prima di andare su Marte dovremmo conoscere meglio quello che abbiamo dentro di noi”. Ecco, il “conosci te stesso” socratico, e siamo nuovamente dalle parti e dentro il pensiero. “E’ lì che c’è campo ancora per lo studio e la ricerca, ed è immenso - scandisce il professionista – Cervello, mente, filosofia. Vanno di pari passo. La filosofia, una materia tra le mie preferite al liceo, ma che frequento anche adesso. Non potrebbe essere diversamente”. Si “cade” sempre da quelle parti, inevitabilmente. Oltre la scienza, o, meglio, prima di essa, sempre più avanzata e dai progressi ancora non conoscibili del tutto. “C’è un aspetto, di questo lavoro, che è molto difficile tarare con attenzione – riflette Petralia – Dopo un intervento si può chiedersi, a me è capitato, non tanto se si poteva fare di più ma se potevo fare di meno. Vede, la difficoltà è quella di sapersi fermare nel momento giusto. L’animo umano è spinto dal mito di Ulisse, dal cercare sempre qualcosa di più. E’ normale, fa parte del processo evolutivo. Ma talvolta, quando si tratta di una patologia, fare questo passettino in più potrebbe portare a dei rischi inutili per il paziente. Sapersi fermare rappresenta lo spartiacque tra chi fa bene e chi fa molto bene questo mestiere”. In altre parole, il senso del limite, il giusto “dosaggio”, il non accanimento, tema più che mai dei giorni nostri. “Sì, le faccio un esempio – conclude il primario - che mi ha colpito. Il primo stroke (ictus, ndr) che ho fatto qui a Trento. Era una donna con una brutta ischemia del circolo posteriore, tra le peggiori dal punto di vista prognostico (cioè riguardante la prognosi, ndr). Per fortuna arrivò in ospedale in tempo. L’abbiamo dimessa con un ranking zero. Cioè, per semplificare, per i non addetti ai lavori, è tornata alla sua vita normale, quella di prima della malattia, quella di tutti i giorni”.













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