L'INTERVISTA annarita nuzzaci direttrice del carcere 

«Il momento più duro? Il suicidio del detenuto» 

Da domani a Spini. Lascia la casa circondariale di Bolzano dopo 16 anni per venire a Trento «Il nostro compito è dare umanità a una struttura che di umano ha poco. E io ci metto l’anima» 


PAOLO TAGLIENTE


bolzano. «A Bolzano lascio una parte del mio cuore». Dopo ben 16 anni alla direzione del carcere di Bolzano, Annarita Nuzzaci, 53 anni, leccese, lascia la struttura del capoluogo altoatesino e, da domani, sarà la direttrice del carcere di Spini di Gardolo a Trento. Sedici anni sono tanti (prima aveva diretto le carceri di Voghera, Rovereto e Trento) e quelli passati a dirigere un carcere non possono essere che intensi. Perché un istituto di pena non è una struttura come le altre.

Cosa vuol dire essere la direttrice di un carcere?

Noi dobbiamo dare umanità a una struttura che di umano ha poco. Perché la perdita delle libertà è sempre una sofferenza. Il nostro principale compito è, oltre ovviamente a quello di rispettare le leggi, è quello che ci impone di rendere il carcere umano. Non è un compito facile, soprattutto nelle strutture vecchie, ma siamo chiamati a farlo e ci mettiamo il cuore. Tutti i giorni.

Un bilancio di questi sedici anni? Qual è stato il momento più difficile? E quello più appagante?

Sono stati sedici anni intensi in cui ho cercato di fare del mio meglio. Il momento più cupo è stato quello vissuto nel 2008, con il suicidio di un detenuto. Non potrò mai dimenticarlo e spero sia l’unico nella mia carriera. È stato davvero devastante e ci penso sempre. Ci si interrogherà per tutta la vita se era possibile salvarlo e rimane questa sensazione di impotenza di fronte a un dramma umano. Un dramma che è di tutta la collettività.

I momenti belli sono tantissimi, ma ricordo con particolare piacere il primo concerto nel 2010, quando gli istituti che provavano a fare i concerti in carcere erano pochissimi, tra l’altro nel cortile di passeggio. Noi ci abbiamo provato ed è stato straordinario, è un’esperienza che si ripete da otto anni ed è sempre coinvolgente. Per un paio d’ore, ci si dimentica di essere in carcere. All’inizio partecipavano anche le persone all’esterno che non capivano cosa succedesse, ma si fermavano a cantare dall’altra parte del muro. Ora, l’evento viene fatto in tutte le carceri, il 21 giugno.

Lei pone spesso l’accento sull’importanza della prevenzione, sottolineando che il carcere deve essere l’ultima delle misure.

Certo. La privazione della libertà, che dopo la vita è senza dubbio la cosa più importante per una persona, deve essere applicata solo nel momento in cui tutte le altre misure siano ritenute inefficaci. E sempre con cautela, altrimenti non funziona più. Ma queste sono valutazioni del legislatore. Noi siamo chiamati solo ad applicare le norme, non a modificarle.

In questi sedici anni, lei ha sempre posto l’accento sull’aspetto umano, andando anche contro lo stereotipo che vuole il direttore del carcere come una persona dal pugno di ferro.

Io ho cercato di metterci l’anima. Se ci sono riuscita, lo decideranno gli altri. Devo ammettere che, all’inizio, credevo anch’io che il direttore del carcere dovesse essere colui che aveva sempre il polso fermo (sorride, ndr). E non è sbagliato, ma non è la dote più importante. La dote più importante di un direttore di istituto, così come di un buon amministratore, è l’equilibrio, la moderazione, il saper mediare, il saper trovare la soluzione giusta con il minor dispendio di risorse, in tutti i sensi.

Ci sono novità sul nuovo carcere? Lei s’è adoperata parecchio per la realizzazione di una nuova struttura.

Sembra che i lavori possano partire a fine anno e mi auguro che venga realizzato. Ora mancano gli spazi per far sì che la pena non sia solo il trascorrere del tempo, ma possa essere utile per dare dignità alla persona e soprattutto per tentare di darle una possibilità, come imparare un mestiere. Laboratori, corsi scolastici, ma anche attività sportive sono importantissime. È necessario avere possibilità rieducative, ma anche spazi di libertà, perché ogni persona è portatrice di tante libertà. Come quella di fede religiosa, e ora manca un locale per i culti diversi da quello cattolico, quella di scegliere di fare dei corsi o quella di avere uno spazio verde dove tenere un colloquio con il proprio figlio.

A Trento cosa porta?

La struttura è sicuramente migliore e richiederà maggiore impegno. Spero che ciò che ho fatto qui, valga come esperienza e sono sicurissima di trovare la stessa sensibilità esterna che ho trovato a Bolzano. La speranza, insomma, è quella di fare qualcosa di positivo anche lì.















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