Il dna incastra il violentatore, arrestato

I carabinieri e il Ris risalgono all’identità dell’uomo grazie ai peli. In giugno ha aggredito una trentenne nell’ex macello


di Nicola Filippi


ROVERETO. Violentata in mezzo ai rifiuti, su un giaciglio di abborracciato e lurido, fra le mura gelide dell’ex macello comunale. Una storia allucinante quella raccontata da una trentenne russa ai carabinieri del nucleo operativo e radiomobile di Rovereto che dopo mesi di indagini hanno chiesto al procuratore capo “ad interim” Valerio Giorgio Davico un mandato di cattura internazionale per arrestare il presunto aggressore. Per incastrarlo i carabinieri roveretani - coordinati dal capitano Gianluca Galiotta e dal tenente Andrea Pezzo - hanno chiesto aiuto ai colleghi del “raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche” di Parma, più conosciuti come Ris. I quali, dopo tutte le comparazioni del caso, hanno stabilito che le tracce di dna recuperate dai militari roveretani sul giaciglio e quelle addosso alla ragazza corrispondevano con quelle dell’aggressore. Ora Gheorghe Moldovan, 36 anni, residente in Romania, attende il processo penale.

I giardini di piazzale Orsi. La storia si sviluppa fra la fine del giugno scorso e i primi giorni di luglio. La ragazza russa, in compagnia del suo fidanzato italiano, si trova nei giardini davanti alla stazione dei treni. E’ il pomeriggio tardo. I due stanno bevendo alcolici. Alla coppia si unisce un gruppo di stranieri, tutti uomini. Condividono l’alcol, la serata s’accende. Ma prende la “piega” sbagliata. All’improvviso, una discussione fra gli ultimi arrivati e il suo compagno. Il quale viene colpito da un pugno al volto e messo fuori gioco. Un’ambulanza lo trasporta in ospedale, mentre la ragazza resta ai giardini. Arrivano i carabinieri che prendono le generalità delle persone che hanno partecipato alla scazzottata. Quando i militari ripartono, la compagnia ricomincia a bere. A questo punto, il clima si surriscalda ancora. L’aggressore allora ci “prova” con la ragazza russa. Ma lei resiste. Gli altri, invece, assistono impassibili.

L’ex macello. Ancora alcol, calano le tenebre che ottundono anche le capacità di resistenza della ragazza. L’uomo passa di nuovo al contrattacco. Vince le resistenze della ragazza e la trascina (per quasi un chilometro di strada) all’interno dell’ex macello comunale, struttura fatiscente, ricovero (all’epoca dei fatti) di senza tetto e disperati. Su un materasso la (presunta) violenza.

La denuncia. La donna non racconta nulla dell’episodio al proprio fidanzato. Ma il 2 luglio (all’incirca, una settimana dopo i fatti) la ragazza chiama in 112, che interviene a Isera e raccoglie la sua denuncia.

Il dna non mente. I carabinieri partono da pochi dettagli rimasti impressi nella memoria della ragazza: «una vecchia struttura, buia e con un materasso sporco per terra». Capiscono che si tratta dell’ex macello. I carabinieri del reparto scientifico raccolgono ogni traccia utile all’interno della stanza. «Vari sono i reperti e, grazie alla preziosissima collaborazione del Ris di Parma - spiega il tenente Andrea Pezzo - recuperiamo un dna, con un profilo genetico sconosciuto». Grazie alle testimonianze degli altri partecipanti alla rissa in piazzale Orsi, i carabinieri stringono l’attenzione sul Moldovan, fuggito nel frattempo in Romania. I carabinieri contattano allora i poliziotti romeni che lo rintracciano sul suolo natale e lo arrestano. Con indizi pesanti. La comparazione del dna è un macigno: l’aggressore della ragazza russa è lui. Ora è in carcere a Montorio veronese, in attesa di processo.

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