«I partiti aprano porte e finestre, era lo spirito dell’Ulivo»
Dellai: «Fallito il partito a vocazione maggioritaria. Con Prodi fu più di una coalizione: è stata una comunità politica»
TRENTO. Può rinascere oggi, in Italia e in Trentino, vent’anni dopo Prodi, un nuovo Ulivo? «Non si vive di nostalgia», avverte Lorenzo Dellai, fondatore della Margherita, da governatore uno dei protagonisti di quella stagione. «L’Ulivo è stato qualcosa in più di un’alleanza, è stata una comunità politica promossa da partiti ma che ha coinvolto movimenti e persone. Oggi non si tratta di rifare l’Ulivo, ma di richiamare lo spirito di quel modello».
Onorevole Dellai, oggi l’Ulivo viene evocato da molti, da alcuni addirittura brandito come minaccia nello scontro interno al Pd. Cosa si può riproporre di quell’esperienza?
È curiosa tutta questa voglia di Ulivo quando fino a qualche mese fa era tabù il solo parlarne. C’è sicuramente un po’ di nostalgia di un periodo in cui, sotto la guida di Romano Prodi, il centrosinistra ha vissuto una fase di unità. Ma di nostalgia non si vive. C’è oggi una duplice consapevolezza che porta a rivalutare la stagione dell’Ulivo. La prima - lo dico fuori da intenti polemici - è la presa d’atto che è fallita un’idea di partito unico a vocazione maggioritaria, coltivata non solo nel centrosinistra. La seconda è la questione non risolta della forma partito. L’Ulivo ha tentato di dare risposta alla crisi dei partiti tradizionali: non era un partito, era più di una coalizione, era una comunità politica.
Non è finita bene...
È finita com’è finita, ma per un buon numero di anni ha dato risposta alla crisi della rappresentanza. Certo oggi non basta evocare esperienze del passato, la situazione è radicalmente diversa. Il quadro nazionale è incerto, contraddittorio, molto conflittuale.
Lei da sempre sostiene l’idea di tornare alle coalizioni. C’è spazio per una legge elettorale che vada in questa direzione?
Oggi assistiamo ad una profonda crisi di identità del centrosinistra, non solo in Italia, c’è aria di scissione nel Pd, c’è una frammentazione a sinistra ma anche nell’area centrista. Le aree politiche che avevano dato vita all’Ulivo si stanno scomponendo e ricomponendo. Certo con un proporzionale puro è difficile immaginare la nascita di coalizioni. È un processo che ha bisogno di una riflessione profonda, di cui non so francamente prevedere l’esito. Vedo una generale tendenza a rassegnarsi al modello elettorale uscito dalla sentenza della Consulta.
La legislatura deve andare fino alla sua conclusione naturale del 2018?
Sono in piena sintonia con il presidente Napolitano, le elezioni anticipate sono previste dalla nostra Costituzione quando non ci sono altre soluzioni.
Prodi ha detto che il modello dell’Ulivo è possibile «se il centrosinistra torna a parlare di distribuzione del reddito, occupazione, scuola, per riformare una società che è profondamente ingiusta». Per lei?
Vedo due grandi valori che oggi considero le discriminanti. Il primo è l’Europa, che decisamente non va di moda ma - nonostante le critiche all’attuale impostazione dell’Unione - può tenere insieme quella parte di società che ha consapevolezza dei disastri prodotti dai nazionalismi. L’altro è una visione comunitaria e sociale della democrazia, perché - lo diceva già Aldo Moro - la democrazia senza qualificazioni non risponde alle domande dei cittadini. La democrazia non è solo regole, è tensione verso la giustizia.
E in Trentino? Lei ha più volte ammonito sui rischi per la tenuta del centrosinistra. E oggi?
In Trentino c’è un quadro che può facilitare la ricostruzione di quello che è stato lo spirito dell’Ulivo. Primo perché voteremo con i collegi, questo spinge alle coalizioni e sarà buona cosa confermare l’attuale alleanza regionale. In secondo luogo perché la legge elettorale prevede le coalizioni e abbiamo una consolidata e positiva esperienza di governo. Infine perché in Trentino c’è un’articolazione originale della rappresentanza politica con forze che a livello nazionale non ci sono.
I partiti però sembrano più impegnati sui propri assetti e scontri interni, compresa l’Upt. Non è così?
Io penso che ogni partito, a cominciare dal mio, oggi debba mettersi in discussione, aprire porte e finestre a soggetti e movimenti, rivedere il proprio modo di essere. Investire su un nuovo ciclo significa investire su una nuova idea di coalizione che sia molto più di un rassemblement di sigle. Questo non si fa con gli annunci ma proponendo un’idea di comunità che rappresenti una «terza via» tra una globalizzazione che omologa tutti e i rigurgiti localisti.
Il nuovo ciclo comprende anche l’apertura ai mondi civici?
Il tema non è un allargamento in termini quantitativi, non si può proporre di aggregarsi nei termini «Venite, c’è posto». La sfida oggi è riprogettare la politica.
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