I feriti di piazza Maidan al Santa Chiara
I nove ragazzi ucraini trasferiti da Kiev sono stati accolti da quattro connazionali che lavorano per l’Azienda sanitaria
TRENTO. I nove ragazzi ucraini feriti negli incidenti di piazza Maidan dopo aver ricevuto le prime cure all'ospedale Santa Chiara, sono stati trasferiti nelle strutture di Borgo Valsugana, Rovereto, Cavalese, Cles e solo due sono stati trattenuti a Trento. Superate le difficoltà del lungo trasferimento, il quadro clinico si è stabilizzato e per nessuno è stata considerata necessaria l'assistenza notturna, mentre è garantita quella diurna principalmente per tradurre russo e italiano. Quella di ieri è stata però una giornata interminabile. I feriti sono decollati dall'aeroporto di Kiev alle 5, per atterrare a Treviso alle 7.45. Purtroppo le condizioni di un ragazzo si sono subito aggravate rendendo necessarie le cure del pronto soccorso dell'aeroporto. Il trasferimento, partito quindi in ritardo rispetto al programma, è stato fatto con un pulmino ed un'ambulanza della Croce Rossa di Trento, ma non è stato un viaggio tranquillo. Un ragazzo ha accusato problemi respiratori e così si sono dovuti invertire i posti in ambulanza. I ragazzi feriti erano accompagnati oltre che dal personale della Croce Rossa anche da una dottoressa ucraina e dal padre del più giovane, che non è ancora maggiorenne. In aereo c'era un altro medico che però tornato immediatamente a Kiev sia per lo stato d'emergenza sanitaria che aveva lasciato, ma anche per timore che la situazione degeneri fino alla chiusura delle frontiere ed i medici in Ucraina, sono preziosissimi. «Non li conosco, ma è come se fossero miei figli – racconta Halena Vosna – e mi sono subito resa disponibile per assisterli. Sosteniamo la rivoluzione in tutti i modi, mia figlia è voluta partire ed adesso è a Kiev a dare una mano. Tutti facciamo quello che possiamo». Mentre parla, Halena ha gli occhi lucidi, ma ci tiene a precisare un'altra cosa: «La propaganda russa vuole convincere il mondo che gli insorti sono nazionalisti, con infiltrazione di gruppi fascisti. Non è assolutamente così: lottiamo per conservare la nostra indipendenza e per poter entrare a far parte dell'Europa: questo è il nostro futuro».
L'Azienda Sanitaria da parte sua, ha messo a disposizione quattro ragazze di madre lingua russa ed ucraina: Agnieska Przybyl lavora al front office del Pronto Soccorso come traduttrice; Valentyna Bycova è una studentessa Oss; Veronica Suruceanu è originaria della Moldavia e come Olena Rapatsika frequenta il corso per infermiere: saranno loro a gestire i primi contatti tra i feriti ed il personale ospedaliero. Nella zona dell'accettazione del Pronto Soccorso la tensione è tangibile. Da una parte l'ansia degli ucraini che attendono i loro connazionali; dall'altra parte il personale ospedaliero che deve garantire la privacy dei pazienti, ma anche il normale afflusso agli ambulatori. Poco dopo le 10.30 un'urlo liberatorio: «Arrivano». Il primo scende in barella ed è il più grave. Gli verrà messo subito l'ossigeno e stabilizzata una crisi ipoglicemica aggravata dal suo essere diabetico. Uno alla volta scendono gli altri: una pacca sulla spalle, un sorriso e un rassicurante “Siamo ucraine” da parte delle quattro donne dell’Azienda che, commosse, si mettono subito a disposizione. Il gruppo viene raccolto nell'astanteria del Pronto Soccorso e poi visitato in codice rosso per essere poi smistato nei vari reparti per esami ed accertamenti. É fatta. Questa operazione è andata a buon fine, pur dovendo confrontarsi con la mancanza di fondi per poter affittare un mezzo privato, attrezzato per il trasporto sanitario. In quel caso sarebbero potuti arrivare dei feriti ben più gravi, ma quello che è stato fatto è già tanto.
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