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Gabriella Pedroni, la pilota che batte tutti i maschi

Campionessa italiana di cronoscalata. E due coppe Europa. «Per vincere serve coraggio, un po’di paura. E memoria»


di Paolo Mantovan


Se qualcuno osa ancora dire qualcosa sulle donne al volante, beh, vada da Gabriella Pedroni e se la veda con lei. Gabriella, 35 anni, ingegnere meccanico, una voglia di correre pazzesca, è campionessa italiana assoluta di cronoscalata: la prima donna tricolore. «Ma non sa quanti pregiudizi ancora oggi».

Gabriella Pedroni, di San Michele, è una gloria nazionale: in auto può sbarazzarsi di qualsiasi avversario. E non vince “solo” i campionati italiani assoluti di cronoscalata (auto da turismo), ma anche la Coppa Europa. Anzi, l’ha già vinta due volte: nel 2014 e nel 2016. Ed è stata la prima donna a vincere la Coppa Europa e a laurearsi campionessa italiana. Così la Fia (la Federazione Internazionale Auto) ha inserito Gabriella nel progetto “women in motorsport”, perché testimonial migliori di lei non ce ne sono.

Ma per riuscire a vincere correndo in auto bisogna avere una passione grande così. Una donna, poi. Giusto? «Guardi, da bambina io amavo giocare con le bambole, meglio, con la Barbie. Poi, però, un po’ per volta ho cominciato a farla andare in auto, e non vedevo l’ora di finire di pettinarla per fare le gare in macchina della mia Barbie contro la Barbie di mia sorella... Poi, a nove anni papà mi ha portato a vedere una gara di kart a Lonato. Ha visto che mi piaceva un sacco e ha chiesto ai gestori del circuito se i bambini potevano guidare il kart. E così il giorno dopo siamo tornati a provare: la licenza l’ho ottenuta a dieci anni, l’età minima prevista». Poi la passione la piglia talmente tanto che anche gli studi prendono quella curva. «La mamma non è mai stata particolarmente felice dei miei gusti sportivi - sorride Gabriella - ma non mi ha mai ostacolato. Ha solo preteso che io studiassi e arrivassi fino in fondo. E così sono divenuta ingegnere meccanico (ora lavoro da libero professionista) con una tesi di laurea sulla qualità e la performance degli pneumatici della LeCont, la formidabile azienda roveretana».

Papà Giuliano le instilla la passione, mamma Maria Augusta pretende la preparazione. Ma poi c’è il carattere. Tutta roba sua. Però, nell’epoca dei materiali c’è ancora spazio per i piloti? «In pista i piloti contano fino a un certo punto, ma nelle gare di montagna, nei rally e nelle cronoscalate il pilota conta eccome». Quanto? «Io direi il 60-70 per cento». E che cosa serve a un pilota oltre a ottimi riflessi e a grande coraggio? «La memoria. È fondamentale. Devi prepararti prima, conoscere perfettamente la strada, curva dopo curva, tornante dopo tornante, perché vince chi sa sfruttare tutti gli angoli nel modo migliore, chi sa dove deve fare la staccata».

Gabriella come si prepara? «Faccio qualche prova con la macchina stradale, ma serve a poco, perché usi la strada stando solo sulla tua corsia». E allora salite a piedi? «Esatto. A piedi o in bici. Meglio a piedi: capisci com’è l’asfalto, ti fai i punti di riferimento, l’albero o il guardrail, insomma, mandi tutto a memoria».

Impari tutto lentamente e poi lo fai alla massima velocità. E in gara bisogna anche stare bene e avere il cervello che funziona al meglio. E paura zero. «No, un po’ di paura ci vuole, perché ti fa ragionare. Devi avere il batticuore, appena appena». Un rally però non si può imparare a memoria. «E infatti prediligo le cronoscalate (mi sono specializzata), perché si possono tenere a mente e sotto controllo percorsi tra i dieci e i venti chilometri».

Poi c’è la gara che Pedroni deve fare sempre. Quella della donna in una disciplina ritenuta (tradizionalmente) da maschi. «Sì, non siamo tante ragazze». Anche se adesso (vedi Bonafini) c’è chi vuole donne-meccanico perché ritiene le donne, a parità di preparazione, decisamente più affidabili. «È vero, conosco ragazze-meccanico straordinarie. Ma ci sono anche donne che gestiscono dei team...». Ok, non siete poche. Però è Gabriella Pedroni la donna che ha vinto. Quanti pregiudizi ha incontrato? «Tantissimi! Quando ho iniziato, non le dico! Non poteva essere che una ragazzina vincesse e battesse gli uomini. Mi facevano il controllo dell’auto due volte. E la cosa continua: pensi che anche in Coppa Europa hanno fatto la verifica della mia auto ben quattro volte». Quattro volte? Come fare quattro volte l’antidoping? «Veda lei. E poi all’inizio se sei un maschio e vai male dicono: eh, deve crescere; con una donna subito concludono: eh, non è fatta per questo sport, ovvio».

Su questi pregiudizi tutta l’Europa è paese? «No. C’è ovunque un po’ di diffidenza, ma in Italia ho trovato situazioni peggiori. C’è stata una volta, in Calabria, quando ho vinto una corsa, che sono stata letteralmente assaltata da ragazze che volevano farsi selfie con me: mi hanno detto che per loro era impossibile dire ai genitori che avevano la passione delle auto o delle moto».

Gabriella, poi, non è certo un “maschiaccio”: capelli lunghi, un tempo addirittura le trecce. E magari ogni tanto piange. «Eccome se piango! Io sono una piangiona! Ma è un modo per esternare la mia emozione». Gli uomini invece, già ce li immaginiamo: parolacce, vero? «Sì, tantissime! E poi anche calci alle macchine. È come se cercassero delle responsabilità fuori da loro». Altri punti deboli dei maschi? «Uh! Tantissimi di carattere psicologico! In certe gare sentivo che ai box dicevano: “Arriva la donna e ti sta davanti, vorrai mica farti battere?”. E così si sono spauriti e alla prima curva sono usciti di strada. Ma la cosa più importante è che io continuo a farmi tutto da sola e molti di loro hanno tanto di staff. È il solito problema della donna, che deve fare sempre il doppio. Io guido anche il camion, su cui porto la macchina alle gare: ho già fatto 14 mila chilometri. Mi preparo tutto, mi smonto il motore; sì, papà m’aiuta da quando sono piccola, ma sempre più spesso devo arrangiarmi. Vorrei vederli tanti uomini fare tutto quello che faccio io».

Gabriella, ma lei è straordinariamente competitiva. «Certo che lo sono. Perché non dovrei? Io voglio sempre vincere, ma voglio sfidare i migliori e quando non vinco cerco di migliorare e così sono sempre alla ricerca di un obiettivo. E imparo dalle sconfitte».

E quando è in macchina vuole sempre sprintare? «No! Ma le confesso che ho più paura quando prendo la mia macchina da strada e vado in mezzo al mondo “normale”». C’è tanta gente che non sa guidare? «Tanta. Io dal 2002 mi occupo di sicurezza stradale, insieme a Stefano Nadalini: lavoriamo tanto per i giovani. Che ora rischiano molto. Perché spesso, specie i neopatentati, non sanno gestire i controlli della vettura».

Il sogno da coronare? La Trento-Bondone? «Accidenti, sì. Non l’ho ancora vinta. Sono arrivata seconda. E poi vorrei vincere il campionato europeo». E poi? «E poi avanti! Al prossimo sogno».













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