Fiammetta Borsellino: «La mafia si sconfigge cambiando cultura»

trento. «Mio padre voleva liberare tutti, non solo i palermitani, da quella che chiamava la "schiavitù mafiosa". Il suo sacrificio fu un atto di amore. Era un uomo semplice e gioioso, un bambino...


Fabio Peterlongo


trento. «Mio padre voleva liberare tutti, non solo i palermitani, da quella che chiamava la "schiavitù mafiosa". Il suo sacrificio fu un atto di amore. Era un uomo semplice e gioioso, un bambino cresciuto in strada, per questo non amo definirlo "eroe". Tutti possono fare il proprio piccolo per combattere la mafia. Bisogna non voltarsi dall'altra parte, non lasciare vincere la parte un po' mafiosa che sta in noi». Queste le parole rivolte da Fiammetta Borsellino, figlia del giudice martire della lotta contro la mafia, alla platea di studenti raccolti nell'Aula Magna del Liceo Da Vinci (e al mattino a Cles alla scuola professionale). L'incontro con Fiammetta, che porta nelle scuole il ricordo del padre, la tragica fine, il racconto dei depistaggi che hanno segnato le indagini sull'attentato di via D'Amelio, è stato organizzato dall'Associazione La Storia Siamo Noi insieme agli studenti delle classi terze. Fiammetta, che aveva 19 anni nel 1992, l'anno delle stragi di Capaci e via D'Amelio, ha ricordato il rapporto personale tra Falcone e Borsellino: «Tra mio padre e Falcone c'era una profonda amicizia intrisa di lavoro: Falcone non aveva figli, quindi non si passavano necessariamente le feste insieme. Avevano ritmi di vita molto differenti». Falcone e Borsellino erano diventati un pericolo per la mafia perché avevano individuato la sua autentica portata economica e gli intrecci con la politica, ha spiegato Fiammetta: «Oggi ci sembra una banalità il fatto che la mafia non sia solo un problema siciliano e che la mafia sia attratta dai territori ricchi del Nord. Ma Falcone e Borsellino l'avevano capito per primi. Avevano individuato il connubio tra mafia, politica, economia e appalti. La mafia che spara è la mano armata di un "terzo livello", costituito da affaristi e politici». La lotta alla mafia per Borsellino non va compiuta solo attraverso la "fredda repressione", ha sottolineato Fiammetta: «La mafia si sconfigge attraverso una battaglia culturale che deve partire dai giovani. È solo questa battaglia che può restituire il "fresco profumo della libertà"». Falcone e Borsellino morirono di "solitudine", ha riflettuto amaramente: «Li lasciarono soli tanti uomini che nelle istituzioni sabotavano la battaglia contro la mafia. Come hanno dimostrato i depistaggi durante le indagini, sono stati un oltraggio osceno. Ma se oggi c'è una sentenza che ha sancito che i depistaggi sono avvenuti è grazie al lavoro delle parti sane dello Stato».













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