«Famiglie in difficoltà, grave errore riaprire la scuola a settembre»
Il Garante dei diritti dei minori, Fabio Biasi: «Situazione non facile, ma in questo momento sono impediti i bisogno primari dei minori. Apriamo le classi il prima possibile, magari con soluzioni alternative»
TRENTO. Un appello, e un grido d’allarme anche in nome di chi ha, al momento, pochissima voce: i bambini e i ragazzi. «Bisogna riaprire le scuole e gli spazi di socialità, al più presto, le famiglie sono in seria difficoltà», afferma senza mezzi termini Fabio Biasi, Garante dei diritti dei Minori nonché ex Procuratore della Repubblica del Tribunale per i Minorenni di Trento.
Dottor Biasi, in una situazione di emergenza sanitaria, è pensabile far rientrare i bambini in classe?
La situazione non è per niente semplice, lo riconosco, e del resto solo da pochissimo tempo si parla di un leggero allentamento dello stato di quasi reclusione domiciliare che stiamo vivendo. Non dobbiamo però dimenticarci che questa non è solo una situazione in cui vengono pesantemente compromessi dei diritti, ma vengono proprio impediti dei bisogni primari delle persone, e dei minori in primis, come la socialità, il movimento, lo stare all’aperto, l’andare a scuola. Sono bisogni essenziali, esistenziali, senza i quali non è possibile vivere la vita nella sua pienezza, con conseguenze spesso pregiudizievoli per la salute psicofisica delle persone che ne sono private. Le famiglie si sono fatte carico di un peso enorme, ma ora è dovere di chi ci governa interrogarsi su come esse stanno vivendo e organizzare al più presto le risorse per il dopo: infatti queste limitazioni, proprio perché dettate da stati di emergenza, devono essere il più possibile limitate al tempo necessario per trovare nuove appropriate soluzioni.
Ripartire dalla scuola, dunque, così come stanno facendo altri paesi europei?
Nessuno mette in discussione le esigenze sanitarie e la necessità delle norme adottate sino ad oggi, ma già ora si può pensare a delle soluzioni che – pur tenendo conto dei pareri e delle prerogative delle autorità sanitarie e degli organismi tecnico – scientifici, non giungano a blindare il Paese. Anche perché gli effetti collaterali di questo lock-down esistono e non si possono ignorare. Tenere chiuse le scuole e gli spazi di socialità ancora a lungo non farebbe che aggravare una situazione già molto pesante.
Quali sono secondo lei i rischi maggiori?
Uno su tutti è l’iperconnessione, da pc e da video. Fino all’altro giorno tenevamo convegni interi sul sovrautilizzo degli smartphone, davamo tante raccomandazioni, e adesso sembra che tutto ruoti intorno a questi strumenti. Il mio naturalmente non è un giudizio sulle famiglie, perché capisco che la giornata sia lunga e la si debba in qualche modo far passare, ma non bisogna pensare che uno schermo possa soppiantare la scuola e, soprattutto, le relazioni.
Quali soluzioni si potrebbero adottare per riaprire?
Si potrebbero organizzare delle turnazioni, sperimentare ore di lezione all’aria aperta, almeno per alcune ore. Trovare nuove forme, senza dover più tenere bambini e ragazzi chiusi in casa in un clima che, a causa anche del bombardamento di informazioni sul virus, molte volte è di angoscia. Così stanno male tutti, piccoli e adulti.
In Italia si dà ormai per scontato che per tornare in classe si debba aspettare settembre, mentre in altri paesi la scuola è stato il primo problema affrontato. Secondo lei come è stata gestita la questione?
Va detto che alcuni parlamentari, anche della maggioranza, hanno richiamato l’attenzione del governo sul fatto che devono essere prese decisioni nell’interesse dei minori e per questo hanno sottoscritto un documento nel quale richiamano l’opportunità che i bisogni degli stessi siano adeguatamente rappresentati negli organismi tecnici governativi preposti a gestire l’emergenza. Tutti noi Garanti regionali abbiamo inoltre divulgato una nota in cui prendiamo posizione su questo. Per quanto detto, riterrei grave ed anche sbagliata la decisione di procrastinare fino a settembre la chiusura delle scuole. Sarebbe inoltre bene cogliere l’occasione per ripensare un po’ tutto e uscire da questa retorica dell’”Andrà tutto bene” e del “Io resto a casa”, e soprattutto del bonus famiglia: quest’ultimo può sicuramente essere uno strumento di aiuto temporaneo, ma non può far fronte a lungo ai bisogni delle famiglie.
Famiglie che, peraltro, non sono tutte uguali. Con la didattica in molti casi delegata ai genitori, non c’è il rischio di aumentare il gap educativo?
Il tema della povertà educativa c’è e rischia di esplodere in una situazione del genere: ricordo che ci sono famiglie con difficoltà linguistiche di partenza, genitori che hanno una bassa scolarizzazione, famiglie in cui ci sono difficoltà serie e che spesso non posso accedere alla tecnologia. Chi non ha gli strumenti ora come ora viene doppiamente penalizzato, mentre in un ambiente scolastico si può far fronte alle necessità degli alunni più in difficoltà anche con la assistenza e l’impegno del docente.
Si parla di ripartire il 4 maggio con molte attività, ma per tante famiglie si pone il problema di chi accudirà i figli e il timore è che alla fine siano le donne a dover fare delle rinunce. Lei come pensa si potrà affrontare il problema?
Mi auguro che nel far ripartire le attività si possa ripensare anche al “come”: riorganizzazione del lavoro, riconversione industriale, misure di riduzione degli inquinamenti, in generale una revisione delle politiche di sviluppo. Bisognerebbe cogliere l’occasione per un ripensamento globale del nostro stile di vita a tutela delle nuove generazioni: ripensando anche il lavoro, per poter venire incontro alle famiglie, per non far subire alle donne nuove discriminazioni, e in generale per rimettere al centro la persona. E forse è proprio questa l’occasione per alzare le orecchie ed ascoltare la voce di un bene prezioso e per nulla scontato: la libertà. Una libertà, certo, che non può mai essere scollegata dal senso di responsabilità, individuale e collettiva, di ciascuno di noi.