Fai, incendio doloso distrugge l’agritur bio 

L’allarme alle 3 vicino al paese: in fumo una struttura da oltre 400 mila euro Vuoto l’interno, non c’era nemmeno l’impianto elettrico. Indagini in corso



TRENTO. Un sogno bio divorato dalle fiamme, incendio doloso. Distrutto nella notte tra domenica e lunedì l’agriturismo di Paolo Perlot, ai Dossi di Fai della Paganella. Dentro non c’era nemmeno un filo elettrico. Tutto vuoto. Sarebbe stato pronto in autunno: oltre 800 mila euro il costo complessivo dell’opera, a lavori ultimati. Il proprietario, Perlot, insegnante in attività, sulle ceneri di un nuovo progetto di vita non si dà per vinto: «Sono pronto a ricominciare». Sotto shock la comunità Fai della Paganella che si è già attivata per dare una mano alla famiglia, mamma e papà insegnanti, tre figlie. Fermo il sindaco di Fai, Gabriele Tonidandel che, sull’ombra lunga del dolo, afferma: «Se così fosse, sarebbe un passo indietro gravissimo per la nostra comunità. Una comunità nella quale non saprei riconoscermi». La struttura, sulla carta un gioiello di ingegneria naturalistica, era posta a 300 metri dal paese ed occupava una pianta di 250 metri quadri, l’interrato più due piani. Sarebbe dovuta diventare un bio agriturismo con fattoria didattica e laboratorio per la lavorazione dei prodotti orticoli coltivati nella campagna sul retro. Avrebbe avuto 22 posti letto ed una missione: divulgare il rispetto dei temi ambientali. Missione che, in una occasione, il WWF però non condivise, contestando la natura del progetto architettonico in quanto tale. Alle tre del mattino, tra domenica e lunedì, un residente di Fai della Paganella, che abita a poche centinaia di metri dai Dossi, vede le fiamme. Alte lingue di fuoco che si mescolano ad una densa nube di fumo. Lui, che come altri abita ad un passo dalla costruzione che sta bruciando, è il primo a lanciare l’allarme. Quando la macchina dei vigili del fuoco si mette in moto, il racconto di quelle che sono le proporzioni di un incendio che si sarebbe rivelato essere devastante viene ripreso da un cellulare. I vigili del fuoco che, dal paese salgono ai Dossi, si avvicinano ad una palla luminosa che si ingigantisce sempre di più. Le fiamme che squarciano il cielo di Fai hanno l’odore del legno che brucia, la potenza di un calore che diventa sempre più intenso e che si mescola a ricordi di giorni di pioggia. L’aria umida si spacca mentre un calore ruggente si avvicina. Brucia tutto, brucia l’agriturismo che sta sulla collinetta. Il fuoco mangia il legno, le sue lingue aranciate sbucano dalle porte e dalle finestre. A questa immagine fanno ben presto da contraltare gli uomini. Sono tanti, sono i permanenti di Trento, i volontari di Fai, di Andalo, Molveno, Spormaggiore, Cavedago, Mezzolombardo. Una sessantina di uomini impegnati in una lotta impari. Il fuoco è vorace, la struttura di legno. Autobotti a tutta forza perché lì, in quella zona, non ci sono fonti. I vigili del fuoco vanno oltre quanto sia possibile fare, in una situazione che appare da subito difficile da governare. Tra i primi ad arrivare sul posto c’è il sindaco di Fai della Paganella, Gabriele Tonidandel. Un nodo alla gola, bisogna avvertire Paolo, il proprietario. Paolo Perlol e la famiglia si trovano a Trento, divisi fra due comuni per motivi professionali, aggrappati a quella terra come alla promessa di una vita a lungo sognata. Quando i Perlot arrivano sul posto tutto è andato distrutto. Di fronte all’agriturismo, non ancora battezzato, dal nome nemmeno immaginato, c’è un uomo che ha perso tutto, ma che non ha perso la capacità di credere in ciò che vuole fare. I molti messaggi social gli riconosceranno poi, nel corso della giornata, questo piglio, insieme ad una correttezza nell’agire ed a una rettitudine morale di cui, egli stesso, ha fatto bandiera. Una eredità preziosa, questa, trasmessa dalla madre. Paolo Perlot è un uomo che guarda quel fumo e che dice: «Ho fatto sempre tutto in modo corretto, nel rispetto delle regole. Non mi so spiegare, ma sono pronto a ricominciare. E’ la mia vita». In queste parole ci sono l’amarezza di un uomo provato ma mai vinto, di un uomo che insegna e che ha saputo insegnare anche a se stesso la bellezza che c’è nel perseguire un sogno che fa bene e che può fare del bene. Quell’agriturismo era destinato ad essere molto più di una semplice struttura ricettivo-didattica. Era, nelle intenzioni di Paolo, un modo “sostenibile” di pensare all’economia green. Una filosofia di vita da coltivare con rispetto. Un rispetto che lui, Polo Perlot, sarebbe stato pronto ad insegnare, ancora una volta, dopo aver lasciato la scuola. Non lo avrebbe fatto da una cattedra però, non questa volta. Lo avrebbe fatto dal basso in quel punto che spezza la schiena, nei campi. E’ la terra. Quella terra che, nonostante tutto, resta sempre la sua. Una terra sulla quale ricominciare.













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