Dossetti e Degasperi cristiani «diversi» tra fede e politica
Il libro di Pombeni sull’«uomo di Chiesa prestato al Palazzo» è il pretesto per tornare a parlare di riformatori
(a.f.) Nell'inchiostro e nelle parole di Paolo Pombeni è sempre inevitabile trovare il sapore dell'oggi. Accade anche leggendo il suo ultimo libro (Giuseppe Dossetti. L’avventura politica di un riformatore cristiano, Il Mulino).
Il politologo trentino - che insegna a Bologna e che un giorno, a Scienze politiche, ebbe fra gli studenti anche un certo Lorenzo Dellai - torna su due parole (cristiano e riformista, anche se lui preferisce parlare di riformatore) che hanno accompagnato un bel pezzo del Novecento italiano.
Il pretesto è Giuseppe Dossetti, al quale Pombeni ha dedicato pagine preziose anche in passato.
La storia di un politico non-politico, di un uomo di Chiesa prestato al Palazzo (o viceversa?) ha ancora un'incredibile attualità. E non solo perché a Monti fa l'occhiolino mezzo Vaticano e perché molti degli altri politici in campo cercano di conquistare almeno la simpatia dell'altra metà del Vaticano.
Professor Pombeni, definire Dossetti un riformatore cristiano non è un azzardo?
Le definizioni che usualmente vengono proposte, da quelle che lo legano semplicemente alla storia del cattolicesimo sociale a quelle malevole che ne fanno un catto-comunista, non colgono il nucleo del suo essere nella storia, che è poi ciò che unisce la sua esperienza di uomo politico con quella di uomo consacrato e di leader religioso. Dossetti agì sempre come colui che cerca appassionatamente nella storia il segno della chiamata ad una grande riforma del nostro modo di essere uomini: una riforma che è insieme personale e sociale, morale e politica, in una parola religiosa nel senso alto del termine.
E' dunque questo il terreno del conflitto (evitabile?) con Alcide Degasperi?
Il suo rapporto con il grande statista trentino è un capitolo molto complicato. I due non si intendevano perché parlavano due lingue diverse ed avevano obiettivi differenti. Degasperi era un uomo “tutto politico” (sempre nel senso più alto del termine) e mirava alla realizzazione del miglior sistema sociale e politico possibile. Dossetti era un uomo “tutto religioso” e aveva addosso il tormento di chi si sente chiamato a rendere testimonianza del mistero di Dio nella storia. Non si tratta e non si trattò di stabilire, per così dire, chi sia o sia stato più cattolico o migliore: facevano, per dirla brutalmente, due mestieri differenti.
Eppure Dossetti - stando almeno al suo libro - nella sua azione politica non sembra proprio un “profeta disarmato".
Proprio questa è la dimensione che ha spiazzato molti che si sono misurati con la sua “avventura”. Dossetti aveva un grande talento politico: aveva visione, ma anche capacità di organizzare i lavori di una assemblea (come dimostrò alla Costituente e più tardi al Concilio); sapeva cosa era un partito politico e cosa era necessario fare perché adempisse ai suoi compiti; capiva bene e con sguardo prospettico cosa stava avvenendo nella storia del mondo. Per questo molti trovarono inconcepibile che un uomo tutto concentrato sulle Sacre Scritture e sulla preghiera fosse anche uno che sapeva muoversi, e bene, nella dialettica della vita politica concreta.
Lo so: preferirebbe restare nel suo libro. Ma come faccio a non chiederle dove siano finiti quei partiti e quella stagione?
Ovviamente se lo deve chiedere anche lo storico. Dossetti aveva elaborato una vera è propria attenzione al ruolo che avrebbe dovuto avere il partito politico nella vita contemporanea. Per esempio il fatto che il partito dovesse essere la fucina in cui si formavano le classi dirigenti e per questo fossero non solo un posto dove reclutare giovani, ma dove dar loro una formazione anche tecnica e ideale. Degasperi era lontano da questa sensibilità, un po’ perché era uno che si era fatto da solo, un po’ perché era un solitario poco interessato a fare squadra, un po’ perché si sentiva già per così dire arrivato dove era necessario arrivare. Oggi purtroppo non c’è più né il catalizzatore di energie giovanili come Dossetti, né il politico capace di forgiare la dura realtà come Degasperi.
E non c'è più chi "costruisce" classe dirigente, professore: né sul fronte per così dire laico né su quello cattolico. Dice che i politici di oggi dovrebbero rileggere queste pagine?
Non sono tanto presuntuoso, però credo che da figure come quelle che abbiamo citato i politici di oggi avrebbero molto da imparare. Da Dossetti senz’altro potrebbero imparare che non si fa politica nei momenti di crisi senza avere “visione”, sia della storia passata sia delle domande che ci pone il futuro. Da Degasperi potrebbero apprendere come misurarsi con la durezza della realtà prendendola sul serio e non illudendosi di poterla semplicemente risolvere a parole.
E’ tornata in ballo proprio in questi giorni, evocata da Berlusconi, la solita storia del cambiamento necessario della costituzione. Quella stagione è davvero “acqua passata”?
Come sa, la difesa dell’impianto della nostra costituzione (e non tanto della sua “lettera” come qualcuno vorrebbe far credere) costituì l’ultima fase del suo impegno politico. In Dossetti convivevano due consapevolezze che andrebbero recuperate. La prima: non si fa costituzione senza costruire solide basi che tengano insieme un popolo nella condivisione di grandi valori e di una effettiva solidarietà. La seconda: non bastano le parole, ci vuole la capacità di dar loro un forte inquadramento giuridico, non nel senso dei legulei, ma in quello dei grandi legislatori. Mi sembra una lezione che oggi è più che mai attuale.
Una cosa è l'attualità, una cosa è invece la capacità di ricostruire quel clima. Sentire parlare di valori e di solidarietà fa un certo effetto. Anche questa terra, fra l'altro, è alla prese con la necessità di ripensarsi, in un certo senso di rifondarsi. E va ripensato anche il rapporto fra Trento e Roma, fra l'Autonomia e lo Stato centrale, un tempo garantito da tandem che tutto sommato hanno retto, come quello sul quale pedalavano, pur fra mille contraddizioni, Kessler a Trento e Piccoli a Roma.
Proprio qui - mi dice Pombeni con un sorriso fra l'ironico e il preoccupato - c’è un grande bisogno di rifondazione costituzionale, perché la nostra autonomia, che o è “costituzionale” o non potrà resistere, viene messa pesantemente in questione da gran parte del sistema politico italiano. Ci vorrà sia grande capacità di “visione”, cioè capacità di inscrivere questa peculiarità nel servizio al futuro che attende il nostro paese e il mondo, sia grande capacità di azione politica, cioè poter contare su una classe politica di grande spessore che possa a sua volta fare sistema nel senso più profondo del termine per dare credibilità alle visioni che si proporranno.
Di più il professore non dice. Ma si vede che da quegli occhiali osserva - da cittadino e da studioso - un Trentino che rischia di non essere all'altezza di questo delicato e insieme fondamentale passaggio.