Donne, anche le parole fanno male
Confronto tra studenti di Trento e della Basilicata sulle vittime della violenza
TRENTO. Le parole feriscono e umiliano. Lasciano segni psicologici e creano un clima di disagio sociale. Nel mondo virtuale e nel mondo reale, le parole possono fare male a coloro che, come le donne, ne sono vittima privilegiata, anche se non esclusiva.
Queste le conclusioni emerse dal lavoro di alcuni studenti delle università di Trento e della Basilicata, presentato in chiusura della giornata di UniTrento dedicata allo sport come fattore di inclusione e di contrasto alla violenza di genere. Annamaria Tesoro (studentessa UniBas): «Con una videoinchiesta, ci siamo resi conto di come il linguaggio quotidiano sia il veicolo principale della violenza verbale. La stragrande maggioranza degli studenti percepisce la violenza verbale come qualcosa che si attua attraverso dei comportamenti. Solo pochi di loro si sono concentrati sul punto di vista della vittima». Sembra sfuggire dunque un sentimento d’empatia verso chi è discriminato. «I luoghi in cui si percepisce la violenza verbale sono tutti ambienti di competizione, lavorativa, scolastica, interpersonale. Il confronto dunque non sembra essere un fattore di arricchimento». Un indicatore di fragilità che sottolinea come ai giovani possano spesso mancare gli strumenti per risolvere i conflitti, subendo passivamente l’aggressività o attuandola. «Tra gli intervistati, si individua l’adolescenza come l’età in cui la violenza verbale è maggiormente presente. È il momento in cui i ragazzi formano il loro io ed aggrediscono verbalmente gli altri per proteggere questo sviluppo». Anche qui torna il tema del confronto come fattore di paura, anziché di scoperta.
Ion Foltea, delegato del Consiglio degli studenti (Udu): «Venendo a Trento non mi aspettavo di dover affrontare temi così grandi. Anche qui c’è violenza verbale, tutti i giorni. La violenza verbale può arrivare, per ragioni di gerarchia, persino dai docenti. Tra i coetanei poi si mettono in atto certe dinamiche di gruppo, in cui si discrimina ed emargina». Foltea propone una lettura politica del fenomeno della violenza verbale: «Oggi troppo spesso non si dà peso alle parole. C’è chi si nasconde dietro un velo democratico, ma nei fatti pratica violenza, perché porta avanti ideologie violente». Con queste parole l’esponente dell’Udu fa riferimento agli estremismi che tra i giovani trovano terreno fertile.
Paolo Bouquet, delegato per lo sport di UniTrento, individua proprio nello sport un possibile antidoto all’aggressività e alla violenza: «Lo sport per suo statuto si basa sul confronto, talvolta anche sullo scontro duro. Ma lo scontro sportivo non è mai violenza. Si cita spesso il calcio come esempio di sport inquinato dalla violenza, ma altrove, come nel basket e nel rugby, la correttezza è un valore e chi dice una parola scorretta viene immediatamente allontanato».