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Crisi climatica, ecco cosa rischiamo: il report di Appa

I problemi principali in Trentino riguarderanno il turismo, l’agricoltura, l’acqua. Affiorano i primi timori anche sul versante della salute


MARZIO TERRANI


TRENTO. Crisi climatica: che cosa ci attende nei prossimi trent’anni? E che cosa possiamo fare, qui in Trentino, per salvarci nei prossimi dieci anni? Alla prima domanda risponde già, almeno in parte, il primo report confezionato nel dicembre scorso dalla Provincia, segnatamente dall’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente (Appa). Ma presto avremo un nuovo report, molto più dettagliato, capace di mettere a fuoco tutti i punti di grave crisi possibile.

Il “Tavolo provinciale di coordinamento e di azione sui cambiamenti climatici” è infatti all’opera senza tregua, per poter preparare un piano di lavoro chiaro, almeno sotto il profilo dell’analisi. Il nuovo report dovrebbe uscire a fine estate e divenire un documento perfetto per la prossima giunta per stabilire quali siano le azioni da mettere a punto. Le azioni di mitigazione (che servono a ridurre le emissioni di gas a effetto serra) e le azioni di adattamento (che servono a ridurre le conseguenze, i danni causati dai cambiamenti climatici).

Quindi, come è intuibile, in Trentino non c’è ancora un piano strategico vero né di mitigazione (solo in parte, attraverso il Piano energetico ambientale provinciale - Peap), né di adattamento. Il Tavolo ci sta lavorando, ma le azioni andranno definite dalla politica a partire dalla prossima legislatura, quindi dalla prossima giunta provinciale.

In realtà siamo già in ritardo; come tutto il mondo peraltro. Con la differenza che, secondo tutti i report e le osservazioni degli ultimi anni, c’è un tasso doppio di riscaldamento sulle Alpi rispetto al resto del territorio. Quindi qui c’è un’esigenza ancor maggiore di intervenire quanto meno sulle azioni di adattamento.

Se restiamo al report del dicembre scorso, comunque, i dati sono già abbastanza chiari.

Soprattutto per quel che riguarda gli impatti.

Il turismo invernale risentirà pesantemente della crisi climatica, con una riduzione netta della “stagione” in senso stretto per quanto concerne le precipitazioni nevose, e soprattutto per le stazioni tra i 1000 e i 2000 metri di quota (e qui si apre inevitabilmente l’interrogativo rispetto a impianti a bassissima quota, come quello recentemente “inventato” di Bolbeno).

Per l’agricoltura si prevedono problemi per alcuni tipi di coltivazione dovuti sia a carenza di acqua, ad eventi estremi o a diffusione di malattie delle piante. Così come è previsto che vi siano spostamenti delle colture a quote più alte (non sempre è una soluzione, peraltro).

Impatto importante la crisi climatica lo avrà anche sulla salute: è un elemento ancora un po’ sottovalutato, ma si inizia a ragionare sulle ondate di calore, sulle zoonosi (questo ultimo è un punto su cui ha iniziato a lavorare con grande energia la Fondazione Edmund Mach di San Michele).

C’è poi il tema vastissimo che riguarda l’acqua, per quanto riguarda il rifornimento dell’energia idroelettrica, per l’agricoltura e anche per l’acqua potabile, soprattutto in estate, quando vi sarà forte concorrenza fra agricoltura, idroelettrico e turismo (e il turismo, per l’appunto, potrebbe godere di alcuni vantaggi o comunque di opportunità, perché potrebbero allungarsi le stagioni estive e potrebbero venire molti più turisti a cercare il fresco in quota, comportando nel contempo un problema il rifornimento d’acqua da distribuire anche all’agricoltura e all’accumulo per l’energia elettrica, con i ghiacciai ridotti al lumicino). Ed è previsto un impatto importante anche sulle foreste e sulla fauna (rischio di estinzione di alcune specie e rischio - all’opposto - di invasività di altre specie aliene).

Ma il vero problema che si affaccia già da tempo è che il Trentino non può più permettersi neppure un centimetro in più nel consumo di suolo. Solo che il tema del consumo di suolo rimane un tabù, sia a livello nazionale che a livello locale. In Trentino, di certo, è un problema enorme, ma nulla è stato stabilito che possa fungere da limite invalicabile per le pianificazioni urbanistiche locali: i Prg vanno avanti a “rubare” altro suolo, mentre non le aree urbane non andrebbero ulteriormente estese. Su questo punto occorre uno scatto da parte della politica. E da questa campagna elettorale dovrebbero vedersi già alcuni spunti. Ma il momento c’è un silenzio assordante.

 













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